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domenica 22 giugno 2014

“LA ’NDRANGHETA È QUESTO: ADORAZIONE DEL MALE E DISPREZZO DEL BENE COMUNE”, è quanto ha dichiarato Papa Francesco sulla Piana di Sibari in Calabria davanti a duecentomila fedeli. E quindi, aggiungiamo qui, i mafiosi nella qualità di operatori di male sono adoratori di … Satana. Certo il Papa, in un estremo segno di ammonimento e di carità assieme, questa appendice così specifica non l’ha voluta esprimere, ma può senza tante sofisticazioni essere considerata scontata, sottintesa.
Dopo i cinquant’anni di scorrerie del mostro di Firenze contro l’amore della coppia uomo-donna, dopo l’attacco alla famiglia da parte di Satana con i femminicidi a ripetizione ormai da tanti anni e dopo gli ultimi efferrati incomprensibili massacri di intere famiglie a Bergamo, a Motta Visconti, a Tempio Pausania… dopo le crocifissioni di prostitute e cristiani, ecco la risposta di Papa Francesco che comincia dalla criminalità organizzata con l’attacco frontale portato nel cuore della Calabria e che costituisce una vera e propria dichiarazione di guerra al male assoluto.
di Carmelo Maria Carlizzi
La scomunica di Papa Francesco alla ‘ndrangheta è una novità forte che sicuramente lascerà il segno nelle coscienze di tutti, non solo dei calabresi.
Gratteri, il procuratore antimafia di Reggio Calabria, sbaglia nel dire “aspettavamo da un secolo l’arrivo di un papa”, perché un secolo fa la ‘ndrangheta in Calabria non esisteva come fenomeno sociale generalizzato e esportato quale modello internazionale di criminalità così come è oggi. Non è un secolo, ma mezzo secolo, pochi decenni. E’ dagli anni ’60 che la mafia calabrese, la ‘ndrangheta, ha rapidamente iniziato a permeare di sé l’intera Calabria e così poi in tutte le sue espressioni l’intero Paese. Cosa nostra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, camorra, banda della Magliana, per dire solo le cinque principali espressioni della criminalità organizzata, con il mercato della droga negli ultimi cinquant’anni hanno occupato l’Italia e si sono proposte quale strumento a disposizione dei poteri forti nell’attuazione di piani di dominio nazionali e internazionali in un patto di convivenza e di reciprocità d’intenti che non ha eguali nella storia italiana e internazionale di sempre.
Era invece poco meno di un secolo fa che il prefetto Mori inviato da Mussolini, in quattro e quattr’otto aveva sgominato la mafia in Sicilia, mentre alcuni decenni fa il prefetto Dalla Chiesa, inviato anche lui a Palermo per combattere la mafia in un momento di particolare violenza del fenomeno non solo nella lotta fra le cosche ma anche contro magistrati e forze dell’ordine, aveva colà trovato dopo solo pochi mesi la fine della sua carriera per mano di Cosa Nostra già allora fortemente collusa con l’antistato, seppur con sperimentazioni che erano ancora “occulte”. Cinquant’anni di decadenza morale e politica, di radicamento delle organizzazioni mafiose nel tessuto politico sociale ed economico, che dalla Sicilia raggiunge rapidamente con pari e forse maggiore pervasività anche la Calabria. Quindi anche cinquant’anni di allontanamento della gente da Dio. E di qui l’intervento di Papa Francesco inconsapevolmente tanto auspicato anche dalle istituzioni laiche stesse – così come esprimeva Gratteri – non sperando queste più nella capacità dello Stato di intervenire con uguale efficacia di fronte alle dimensioni e alla specificità del fenomeno mafioso, che quindi richiedeva la discesa in campo di un’autorità davvero in grado di scuotere le coscienze sin nel profondo dei cuori.
Le parole del Papa giungono ora finalmente a ricollocare la giustizia al centro delle comunità, sempre che vengano ascoltate e ricevute nei cuori dove pur sono dirette. Infatti il principale destinatario di esse è il cuore della gente, di quanti per debolezza o per paura o solo quali fiancheggiatori, ma spesso anche perché collusi, concedono comunque spazio e ossigeno alla mafia. Il sentirsi posti fuori dalla comunità religiosa e di conseguenza ai margini dell’intera comunità è un fortissimo scossone delle coscienze, poiché con tale scomunica Papa Francesco ha marchiato a fuoco i mafiosi dinanzi a se stessi, alle proprie famiglie, ai propri ambiti sociali, rendendoli riconoscibili dovunque essi vadano per tale marchio: scomunicati perché mafiosi. E il papa ha scollegato quindi anche l’aspetto tanto caro ai capi mafiosi di sentirsi investiti in tale loro qualità dell’onore di poter rappresentare nelle cerimonie religiose il santo del paese. Il marchio di mafioso è da oggi ben scritto in fronte a ciascuno di loro e non potrà più essere nascosto. E’ un fatto davvero nuovo e straordinario. E straordinaria davvero è questa espressione del Papa, pur nell’apparente ovvietà del concetto morale da lui trasferito nell’ambito religioso con la scomunica. Ma l’aspetto ancora più rilevante di quello della scomunica è a mio avviso il passaggio del discorso di Papa Francesco che lo precede e spiegandolo lo motiva, e cioè l’affermazione che questi operatori di male, i mafiosi, sono adoratori del male. Letteralmente dice Papa Francesco: “La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune”.
Qui appresso uno dei tanti link su cui è possibile leggere il testo integrale del suo discorso: http://www.miopapa.it/il-papa-scomunica-i-mafiosi/
Infatti con tali parole il linguaggio del Papa esce dall’ambito puramente morale per divenire strumento superiore di accusa e di condanna, diretto e fortissimo: il mafioso è un adoratore del male, e quindi del suo principe, di Satana, e pertanto viene scomunicato, escluso dalla comunità cristiana, bandito agli occhi di Dio e dei suoi fedeli.
Questo smascheramento compiuto in modo così diretto, senza enfasi o retorica superflue, pane al pane e vino al vino, e proprio nel giorno del Corpus Domini, rappresenta una dichiarazione di guerra di questo papa, che nessun cristiano, nessun cittadino cristiano o non cristiano potrà da oggi disattendere come se non l’avesse udita. Se le chiese in Calabria o ovunque nell’Italia e nel mondo si svuoteranno a seguito di queste parole, sarà comunque un bene perché vuol dire che esse hanno raggiunto il primo scopo che è quello che il mafioso si senta identificato senza equivoci intanto davanti a se stesso e poi davanti a Dio, e quindi sia per lui scomodo proprio l’entrare in chiesa. Questa veste di adoratori del male e quindi di scomunicati starà perciò stretta a molti e non solo perché battezzati, e allora finalmente qualche risultato ben presto si vedrà.
Certo questa dichiarazione di guerra a Satana e a quanti degnamente lo rappresentano, e quindi a tutte quelle massonerie criminali e non che si nascondono da duemila anni dietro simboli sacri, per il Papa rappresenterà l’inizio di un periodo di grandi sofferenze e di lotte. A cominciare proprio dall’interno del Vaticano che purtroppo tanto ha assorbito anch’esso nel tempo di questo male, così come hanno dichiarato vari papi e così come già dai primi giorni di pontificato ha proclamato in più occasioni questo stesso papa.
Ora alla gente di Calabria e d’Italia è stato detto senza mezzi termini come stanno le cose. A Sibari, a Milano, a Roma, così come a Palermo, a Napoli o a Reggio Calabria, la gente ora non ha più scuse per attendere dal fare subito un esame di coscienza e decidere da che parte stare. Un’ipotesi che mi piacerebbe osservare è che quindi gli stessi appartenenti alle cosche, così come quanti dall’esterno le sostengono e ne vengono sostenuti, comincino a valutare l’esigenza di riesaminare la propria vita e ricondurla verso la legalità, il rispetto di se stessi, a considerare l’onore, questa parola a loro tanto cara, nel suo senso più vero.
E’ un santo contagio che potrebbe innescarsi, anzi che certamente si innescherà. E di qui proviene la pericolosità per la sua stessa vita per quanto Papa Francesco ha fatto, ma di qui scaturisce anche il suo eroismo sacerdotale e di uomo che oggi mi piace evidenziare, e a cui tutti noi dobbiamo attingere senza esitare per contagiarci consapevolmente e propagare questo contagio.

Descrizione immagini (dall'alto verso il basso)

Fotografie di Papa Francesco I a Sibari

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