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di Gabriella Pasquali Carlizzi - Giovedì 22 Gennaio 2009

“CASO NARDUCCI-MOSTRO DI FIRENZE”...
E IL GUP PAOLO MICHELI E’ COSTRETTO A RINVIARE L’UDIENZA AL 4 FEBBRAIO 2009, PERCHE’LA MEMORIA DI QUALCUNO… E’ TARDIVA (?)…OPPURE ?
E L’INCHIESTA SI ARRICCHISCE: L’AVVOCATO FILASTO’ GUADAGNA UNA QUERELA, MENTRE IL GIORNALISTA - “MOSTROLOGO” HA CONQUISTATO UNA CONDANNA IN PRIMO GRADO….

IL MOSTRO DI FIRENZE ENTRA NEL VIVO A PERUGIA, DOVE SI DISCUTE SULLA MISTERIOSA MORTE DEL GASTROENTEROLOGO FRANCESCO NARDUCCI E DELL’ANCORA PIU’ MISTERIOSO RITROVAMENTO DI UN CADAVERE FATTO PASSARE PER QUELLO DEL BEL MEDICO UMBRO…
PECCATO CHE LO SFORTUNATO RIAFFIORATO DALLE ACQUE DEL TRASIMENO, IN QUEL LONTANO 13 OTTOBRE DEL 1985, PUR AVENDO IN TASCA I DOCUMENTI DI NARDUCCI PRESENTO’ LINEAMENTI DEFINITI TIPICI DEL NEGROIDE... CAPITA…
E SPERIAMO CHE IL “DOTTORE CHE VENIVA DA FUORI”, COSI’ LOTTI DEFINI IL MEDICO PERUGINO DURANTE IL PROCESSO A CARICO DEI COMPAGNI DI MERENDA, NON SI SIA OFFESO DI TALE VOLGARE SCAMBIO, LUI CHE DAL 9 OTTOBRE DI QUELL’ANNO ERA GIA’ PASSATO AD ALTRA VITA…. CHI LO “GIUSTIZIO’ ” ?
EPPURE UN VENTICELLO DI PACE SEMBRA ALEGGIARE TRA FIRENZE E PERUGIA… CANESSA E MIGNINI , ORA LIBERI DA FIGURE “TROPPO INGOMBRANTI” RITROVERANNO LA SINTONIA DI UN TEMPO?
NOI CE LO AUGURIAMO…. E PER IL MOSTRO INIZIA IL TEMPO DELLA PAURA…

 

Innanzitutto mi scuso con i miei lettori per questo lungo silenzio sulla storia infinita del Mostro, ma chi abitualmente visita questo sito avrà notato che negli ultimi quattro mesi, tra una breve sosta in Italia e l’altra sono andata in Missione nei Paesi in guerra ben quattro volte, e vi assicuro che se oggi i miei collaboratori ed io siamo vivi è solo per un miracolo.

E torniamo a parlare di Mostro… ma anche di mostruosità….
Tanto per fare il punto della situazione, è bene ricordare che a seguito della richiesta di rinvio a giudizio presentata molti mesi or sono dal Pm Giuliano Mignini a carico di ben ventidue eccellenti imputati, personaggi accusati di reati gravissimi dall’associazione per delinquere a gran parte del codice penale, il GUP di Perugia, Paolo Micheli ha già celebrato due udienze per stabilire se i risultati delle indagini svolte dagli inquirenti dal 2001 ad oggi, meritano di essere dibattuti in un processo, oppure si dovranno accogliere le richieste dei difensori che auspicano il proscioglimento da ogni responsabilità dei loro assistiti.

Questa seconda ipotesi appare in verità assai improbabile, e semmai si verificasse, sul piano della pubblica opinione si rivelerebbe assolutamente impopolare, atteso che, se è vero che vige il concetto di presunzione di innocenza fino ad una sentenza definitiva, nel caso specifico oltre ai riscontri investigativi, si sono espressi periti di chiara fama, non da ultimi i Ris, per non parlare delle intercettazioni telefoniche “reo-confesse”…

E si, esistono anche i telefoni che parlano, temono, si confidano, complottano, svelano, piangono….
Precursore fu il celebre Modugno con le note di “Piange il telefono…”, quando ancora, in una società più sana lo strumento giudiziario delle intercettazioni rimaneva inutilizzato.

Già, le telefonate “reo-confesse”… e la lingua batte dove il dente duole, visto che ieri le eccezioni sollevate dagli illustri difensori miravano proprio ad ottenere un decreto di inutilizzabilità delle intercettazioni disposte dal Pubblico Ministero.

Come dire, arrivederci e grazie, possiamo andarcene tutti a casa, visto che l’omertà di chi sa e ancora non parla non è strumento di prova, o meglio è la migliore garanzia per i colpevoli.

Un caso giudiziario di questo spessore, che ha coinvolto i mass-media di tutto il mondo, che ha visto decine di vittime ancor oggi in attesa di giustizia, mentre mostro, mostri e mostruosità tentano ancora di mettere il bavaglio alla verità, un caso che sta costando allo Stato e quindi agli italiani cifre che avrebbero potuto coprire il debito pubblico, al di là di un verdetto finale, deve necessariamente disporre un giudizio per tutti i presunti colpevoli.

Ciò non toglie il sacrosanto e legittimo diritto della difesa ad usare ogni strumento previsto dai codici a favore degli imputati, tuttavia sarebbe più etico un comportamento conforme al buon senso nel rispetto della norma, e soprattutto dei termini in cui il ricorso alla norma non desterebbe alcun sospetto.

Al contrario, quando taluni presunti vizi procedurali sfuggono ai più qualificati “Principi del Foro” nei tempi utili, i quali poi, in extremis li eccepiscono tardivamente, le domande di una attenta pubblica opinione, diventano inquietanti e pesano come macigni.

Basterebbe osservare il tempo che gli imputati e i loro difensori hanno avuto a disposizione per accedere agli atti del procedimento, per chiedersi come mai, fin dalla prima udienza, non hanno contestato le presunte irregolarità delle intercettazioni telefoniche?

L’osservazione è ancor più legittima se si pensa che nell’udienza precedente, il GUP dottor Micheli, sentite tutte le parti in causa, procedeva alla nomina e alla convocazione all’udienza di ieri, 21 gennaio, di un perito fonico il quale avrebbe assunto formalmente l’incarico di sbobinare le intercettazioni ed eventualmente riscontarne la loro integrità.

E’ ovvio, che se fossero state sollevate in quella sede le eccezioni avanzate invece solo ieri, il Giudice si sarebbe riservato di decidere nel merito, e solo dopo aver sciolto la sua riserva avrebbe proceduto a nominare il perito.
Esiste ancora l’etica deontologica nella materia forense?
O forse è un valore d’altri tempi?

La prima mancanza di rispetto è stata a parer nostro proprio verso il Giudice, il quale si è dovuto scusare ieri con il perito, e rimandarlo a casa, dovendo prima decidere se le intercettazioni “galeotte” possono essere utilizzate oppure no.

Ma vediamo su quali specchi ci si è arrampicati, sia pure con toni sommessi e che hanno sfiorato il patetico quando si è sottolineata la violazione della privacy per un tempo così prolungato e di persone tanto per bene…
Peccato che queste “povere” persone, quando furono interrogate dagli inquirenti negarono tutto ciò che si sono vicendevolmente confidato nel corso di conversazioni telefoniche che oggi si vorrebbero vanificare nel nulla…
E con quali motivazioni?
Sembrerebbe che in alcuni casi manchi la convalida del Gip alla articolata richiesta presentata dal Pubblico Ministero.
In altri casi, poiché lo strumento delle intercettazioni è stato richiesto utilizzando un apposito modulo prestampato, roba d’altri tempi, dicono i difensori (!), mentre la norma attuale prevede una relazione che espliciti le gravi motivazioni della richiesta, tale vizio di forma deve bastare per sancire la non utilizzabilità delle “prove”!

Tentiamo, da semplici e privati cittadini, di esprimere la nostra opinione.
Innanzitutto, come già detto, queste eccezioni dovevano e potevano essere sollevate prima che il GUP procedesse alla nomina di un perito.
In secondo luogo, quando gli atti del Pubblico Ministero sono stati depositati e divenuti accessibili per le parti in causa, tutti hanno per molto tempo abbondantemente messo le mani nei fascicoli, estratto fotocopie, cercato documenti, nell’ambito di una grande stanza che a malapena contiene le risultanze di anni ed anni di indagini, migliaia di carte , in un caotico disordine tale da poter supporre che qualcosa sia andato perso, o spostato da un fascicolo ad un altro, o malauguratamente possa essere stato perfino sottratto da qualche “manina” interessata.

E dunque, in un quadro simile, dovrebbe essere la ricerca della verità a farne le spese?
Ma scherziamo?
Di contro alle eccezioni sollevate dalle difese, anche il Pubblico Ministero potrebbe a buon diritto presentare una denuncia contro ignoti per manomissione di atti processuali, non vi pare?
E sarebbe una denuncia ancor più motivata se si sottolineasse l’anomala e tardiva presentazione della richiesta di non utilizzabilità delle intercettazioni, atteso che se nessuno ha avuto nulla da eccepire prima della nomina del perito, e deve darsi per scontato che gli atti fossero passati tutti al vaglio dei difensori, non si comprende l’improvviso “ritorno di memoria”

Naturalmente tali “disguidi” costano, se solo si pensa in termini monetari al peso di prenotazione di un’aula per lo svolgimento di un’udienza, alla messa a disposizione del personale di udienza, alle trasferte di coloro che vivono e lavorano fuori da Perugia, e così via.
In tale clima, c’è da attendersi l’inizio della girandola dei certificati medici, proprio come accadeva nei maxi processi di Mafia: quando gli imputati sono tanti, basta che uno solo avanzi un legittimo impedimento a partecipare all’udienza, che l’udienza stessa deve essere rinviata.
Con quali conseguenze?
Semplice: la macchina del tempo non si ferma, e i tempi di prescrizione dei reati quando i tempi della giustizia rallentano, si rivelano un favore per gli imputati, in spregio della verità e della memoria delle vittime.

Nel caso specifico, mi piace richiamare l’attenzione dei lettori anche su un altro aspetto: la coerenza di una strategia di difesa.
Ora, come ricorderete, un procedimento connesso a questo di cui si parla, riguarda i mandanti e/o esecutori dell’omicidio di Francesco Narducci.
Ebbene, il Pubblico Ministero, anche a causa di incresciosi intralci alle indagini, ha ritenuto di chiedere l’archiviazione del procedimento per insufficienza di prove.
Ora, gli indagati, anziché “festeggiare” per essere scampati al pericolo di un altro processo, si sono opposti all’archiviazione, reclamando a gran voce l’assoluta chiarezza sulla loro totale estraneità ai fatti loro contestati, fatti seppure non sufficienti per celebrare un processo, ma sempre fatti che lasciano dubbi.
In questa circostanza sono venuti a trovarsi in perfetto accordo sia gli accusati che le parti offese, queste ultime invece protagoniste delle ormai famose intercettazioni.
Dunque, fin qui la logica della chiarezza e della trasparenza, perché in questa drammatica vicenda non resti nemmeno l’ombra di un dubbio sembrava prevalere.
Chissà perché poi, in conformità con questa scelta di campo, non si è lasciato che un Giudice sancisse l’innocenza degli imputati avvalendosi di tutto il materiale prodotto dagli inquirenti, intercettazioni comprese.
Si è deciso invece di far valere “cavilli” procedurali allo scopo di vanificare la sostanza e il contenuto delle intercettazioni.

Ma un’altra domanda è d’obbligo, se solo proviamo a ribaltare la nostra critica.
Allora dovremmo chiederci perché mai i difensori, convinti di nullità procedurali, non hanno atteso di avanzare le relative eccezioni, in caso di condanna dei loro assistiti, nella sede della Corte di Cassazione?
La Cassazione è appunto la sede atta a stabilire gli elementi di nullità e i vizi di procedura rilevati nel corso di un dibattimento, nei due gradi precedenti.

La storia ci ha insegnato che personaggi di chiara fama, condannati perfino e forse direi soprattutto, per reati di Mafia o terrorismo, o stragi, in primo grado e in Corte d’Appello, sono stati poi assolti dalla Cassazione, magari perché un timbro su una notifica era stato apposto a destra invece che a sinistra…
Insomma, spesso è bastato il vizio procedurale, per assolvere incalliti e pericolosi criminali.
In questi casi, avvocati di primo piano, pur consapevoli della presenza di elementi di nullità, non li eccepivano durante il processo, ma preferivano arrivare in Cassazione e veder cassare la sentenza di condanna dei loro assistiti.

Ora, tornando al caso in questione, e analizzando le strategie difensive, sembrerebbe che si tema qualcosa che è ancora in essere, in divenire, insomma le eccezioni avanzate, potrebbero paradossalmente apparire “precoci”, come se dovessero precedere chissà quali e gravi ulteriori colpi di scena.

Qualcuno si chiederà: come mai “la Carlizzi” ha ritenuto di analizzare certi comportamenti da punti diametralmente opposti? E la domanda sarebbe pertinente.
Infatti il motivo che mi ha spinto a considerare anche questo ultimo aspetto, è scaturito dalla ripetuta asserzione dei difensori relativamente al sottolineare al Giudice che le eccezioni da loro avanzate si riferivano solo alle intercettazioni di loro stretta pertinenza, dissociandosi da analoghi interessi di altri imputati, come ad esempio Mario Spezi.

Questa precisazione ieri è stata fatta tante di quelle volte che effettivamente mi sono chiesta: “Ma che bolle in pentola? Forse vogliono prendere le distanze, perché Spezi è stato condannato in primo grado, nel processo a suo carico per essere stato scoperto con il registratore mentre era interrogato dal Pubblico Ministero dottor Mignini? Forse temono che le intercettazioni disposte a carico di Spezi siano compromettenti per il caso Narducci? O forse sanno che chi effettuò alcune indagini fu anche testimone di fatti capaci di chiarire fino in fondo la storia del Mostro di Firenze, e pertanto anche delle vicende connesse alla morte di Francesco Narducci? “

Ecco che in questa diversa ottica, le strategia di difesa attuata ieri, avrebbe un fondamento più eloquente, come dire “Anche se stiamo tutti nella stessa barca, sarà meglio che ciascuno remi da solo e per salvare la propria pelle”.

Avete letto nei titoli di questo articolo anche di una querela.
Ebbene si, l’ho presentata ieri insieme al mio avvocato Carla Archilei contro il difensore di Mario Spezi, Nino Filastò.
Infatti costui, alla scorsa udienza presentò una memoria che aveva depositato anche in un altro in procedimento in essere a carico del suo assistito, nella quale l’illustre avvocato ha messo nero su bianco, firmando in prima persona, calunnie e offese di ogni genere nei miei confronti.
A parte il fatto che non si capisce bene come in questa clamorosa vicenda giudiziaria, gli imputati anziché difendersi dai fatti loro contestati, se la prendono con me e con i Magistrati che semmai hanno trovato i necessari riscontri a quanto da me riferito in veste di persona informata sui fatti.
Invece no: i fatti non li sfiorano neanche, e il perché lo sanno fin troppo bene, loro preferiscono attaccare la mia fede religiosa come cattolica convinta, toccando il fondo quando si esprimono come nemmeno il peggiore degli uomini si azzarderebbe.

Evidentemente devo diventare ricca con il risarcimento dei danni che naturalmente pretenderò da chiunque leda la mia immagine e la mia credibilità.

E sempre nei titoli, ho fatto riferimento al pentito Lotti…
Sulle cause della sua morte il dubbio mi è sempre rimasto dal giorno in cui ne venni a conoscenza.
Infatti poche ore prima che Lotti passasse ad altra vita, io mi trovavo a Firenze, e proprio durante un interrogatorio con il dottor Canessa, espressi l’opportunità di un nuovo interrogatorio del “Katanga” (soprannome di Lotti), in quanto mi era giunta la “soffiata” che costui avrebbe fatto ufficialmente il nome di quello che chiamava “ un dottore che veniva da fuori”.

Ricordo perfettamente che il dottor Canessa quando gli prospettai questa eventualità mi rispose: “Signora, è proprio quello che ho deciso di fare, un giorno di questi intendo andare a interrogare Lotti”.
Bè, il destino, o forse chissà il “Grande Orecchio” provvide all’eliminazione di Lotti, il quale era si malaticcio ma forse non al punto di morire su due piedi, se il dottor Canessa voleva interrogarlo…
Se a questa ennesima stranezza aggiungiamo il fatto che il trafiletto uscito su un quotidiano il giorno dopo la morte di Lotti, era stato oggetto di un racconto di un noto scrittore pubblicato due anni prima la morte dello stesso Lotti, allora chi di dovere farebbe bene a riesumare la salma del Katanga e accertare le reali cause della sua morte….
Quel racconto è ben custodito, con tanto di data di pubblicazione, e lo si può comparare con il trafiletto del quotidiano che annunciava la morte di Lotti, e ambedue questi documenti li metto fin da ora a disposizione dell’Autorità Giudiziaria qualora mi siano chiesti.
Certo è che accostando il nome dell’autore del racconto a quello di chi scriveva sul quotidiano, sapendo che ambedue questi nomi figurano nel processo relativo al “caso Narducci”, si può avanzare l’ipotesi che Lotti quando diceva di “un dottore che veniva da fuori” si riferisse proprio al gastroenterologo di Perugia.
Nessuna certezza, ma tante ipotesi, tutte, a mio avviso, meritevoli di essere approfondite.

E veniamo al “venticello di pace” che sembra aleggiare tra Firenze e Perugia.
Una realtà è indiscutibile.
C’è stato un tempo in cui i due Magistrati, Canessa e Mignini, lavoravano gomito a gomito, in perfetta sintonia e con tanto rinnovato entusiasmo, convinti di poter finalmente onorare le vittime del Mostro di Firenze.
Purtroppo, occulte ragioni e comportamenti conseguenti da parte di “ragioni di Stato” deviate, e collocate in soggetti al servizio dell’antistato, hanno rotto l’armonia tra questi due uomini, degni di rappresentare una bella pagina della Giustizia italiana.
In questo caso giudiziario, senza precedenti al mondo, il barlume della verità si iniziò a vedere solo quando alle indagini di Firenze furono collegate quelle di Perugia, e in quello stesso momento ci si attivò per stroncare il lavoro congiunto dei due magistrati.
Le conseguenze si sono immediatamente viste, basti pensare alla assoluzione del farmacista Calamandrei, ritenuto dagli inquirenti figura chiave in concorso con altri, e di collegamento tra la morte di Francesco Narducci e i delitti delle coppiette.

Ecco che gli stessi delegati alle indagini che nel 1998 avevano fatto giungere sul tavolo del dottor Canessa, la totale estraneità di Calamandrei dai delitti del Mostro, considerando che il farmacista era nuovamente caduto nel mirino degli inquirenti, hanno pensato di addebitargli tanti di quegli indizi di colpevolezza che il PM di Firenze lo ha portato alla sbarra con l’accusa di essere lui, il Calamandrei, il mandante dei duplici delitti.
E come sempre accade, di fronte ad una accusa abnorme se carente del suo anello di congiunzione tale da costituire prova certa, il processo si è concluso con l’assoluzione del Farmacista di San Casciano Val di Pesa.

Domanda: “Siamo certi che le cose sarebbero andate ugualmente se i due Magistrati si fossero scambiati serenamente i risultati delle loro indagini?”
E allo stesso modo, l’inchiesta sul “caso Narducci” sarebbe tanto più forte e inattaccabile se completata da atti giudiziari che sono nella disponibilità del magistrato fiorentino.

E se il Mostro di Firenze, fosse una Bestia a tre teste, di cui una sola è morta e le altre due ancorasono vive e capaci di cibarsi delle vite altrui?

Spero che l’aver fatto il punto della situazione, si riveli utile a chi ancora crede nella Giustizia.

Giovedì 22 Gennaio 2009
Gabriella Pasquali Carlizzi


Descrizione Fotografie (dall'alto al basso)
1. Il Giudice di Perugia Paolo Micheli
2. Il Pubblico Ministero di Perugia Giuliano Mignini
3. Francesco Narducci
4. Mario Spezi
5. Nino Fliastò
6. Giancarlo Lotti
7. Il Pubblico Ministero di Firenze Paolo Canessa

 

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