Una finestra nuova, per tutti, aperta sulla strada, sul mondo, ... lontana dai poteri, vicina alla gente, ... curiosa, rispettosa, amica, ... aperta allo scambio, alla battuta, al saluto, alla discussione, alla polemica, ...incline alla pace, ... ansiosa di verità, ...anche provocatoria se necessario, ... puntuale, ... intrigante, ... attesa, ............
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GABRIELLA FERRI ...
QUEL VOLO ALL'INGIU'PER SENTIRSI DONNA ... SI FA PER DIRE
SE POI L’UNICA COMPAGNA DI CUI FIDARSI DIVENTA LA SOLITUDINE....QUELLA PRESENZA INVISIBILE CHE PURE SA DARTI UNA CAREZZA MANCATA... O SUSSURRARTI PAROLE NON DETTE.... QUEL TRAGICO 3 MARZO DEL 2004, FORSE ERA LA GIORNATA LIBERA PER L’AMICA SOLITUDINE DI GABRIELLA... E DOVE CERLA SE NON NEL VUOTO DA DOVE ERA UN GIOROLONTANO COMPARSA...QUANDO L’ARTISTA NON SI PROSTITUI’ AL CAMBIAMENTO DEI TEMPI... PER ESSERE QUELLA DI SEMPRE.... PER DIRA ANCORA “GRAZIE ALLA VITA”... ED ESSERE PRONTA A PRIVARSI DELLA VITA NEL NOME DELL’ETERNITA’
TESTIMONIANZA DI GABRIELLA PASQUALI CARLIZZI

GRAZIE ALLA VITA

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato due stelle che quando le apro
perfetti distinguo il nero dal bianco,
e nell'alto cielo il suo sfondo stellato,

e tra le moltitudini l'uomo che amo.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato l'ascolto che in tutta la sua apertura
cattura notte e giorno grilli e canarini,
martelli turbine latrati burrasche
e la voce tanto tenera di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il suono e l'abbecedario
con lui le parole che penso e dico,
madre, amico, fratello luce illuminante,
la strada dell'anima di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato la marcia dei miei piedi stanchi,
con loro andai per città e pozzanghere,
spiagge e deserti, montagne e piani
e la casa tua, la tua strada, il cortile.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il cuore che agita il suo confine
quando guardo il frutto del cervello umano,
quando guardo il bene così lontano dal male,
quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso e mi ha dato il pianto,
così distinguo gioia e dolore
i due materiali che formano il mio canto
e il canto degli altri che è lo stesso canto
e il canto di tutti che è il mio proprio canto.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto......

 

 

TESTIMONIANZA DI GABRIELLA PASQUALI CARLIZZI

Un pezzo di me se n’è andato via per sempre con lei, quella Gabriella che conobbi fin dai tempi della contestazione, quella Gabriella che mi somigliava tanto, per la sua grinta, il suo estremismo, il rifiuto del compromesso, a qualunque costo.

Al Pantheon, ci chiamavano “figli dei fiori”, anche se nella nostra generazione, a casa, in famiglia, vivevamo piuttosto le spine, i rovi dell’incomprensione, la clausura di schemi sociali rigidi, che ci davano il senso della prigione.

E ci fu un momento in cui cominciammo ad uscire con abiti lunghi, colorati, dipinti a mano, con le nostre mani.

E non portavamo gioielli, ma con le matite colorate disegnavamo un fiore sulla guancia, sul dorso di una mano, e appena potevamo ci toglievamo le scarpe, perche ci piaceva camminare scalzi, liberi da qualunque laccio.

 

E così sorridevamo a chiunque si incontrava per la strada, spesso regalavamo un fiore, era il nostro tentativo di contagiare il genere umano di quella vita che era in noi.

 

Il sabato, a piazza Navona, seduti a terra, e capivamo di non essere soli, anche se il nostro mdo di cantare l’amore, la pace, ai grandi, agli adulti, faceva paura, e i commenti di chi passava o delle nostre famiglie, erano, nel migliore dei casi: “Che vergogna....”.

Gabriella conviveva con la sua chitarra, per lei era come il bastone bianco per un cieco, le dava sicurezza , a lei così ribelle ma tanto fragile, tanto donna.

E quella voce roca nascondeva un canto di Angeli che sapeva di dover tacere, per non subire quello che di lei altri non avrebbero mai capito.
E ci univamo, dopo le prime note, trascinati tutti dalla veracità di quella Roma degli stornelli, maliziosa, tentatrice, generosa di qualche ora di spensieratezza, di allegria.

Poi, l’ora di tornare a casa, e poi sul volto di ognuno i segni della malinconia, della solitudine, dell’inquisizione.

Le solite liti, uguali per tutti: “Dove sei stata fino a quest’ora conciata così? ....Tu sei la vergogna della famiglia, un giorno o l’altro ti grogheranno, ma è meglio che non ci torni a casa, prima di darci altri dolori....”

Il giorno dopo ci si ritrovava, bastava poco per esorcizzarsi dalle prediche, i sermoni cui ormai eravamo abituati e da quando ci difendavamo indossando la maschera da “ragazze per bene..”

Il fatto era che avevamo solo voglia di amare, di sentirci amate, di sorridere, di cantare, e tutto questo veniva giudicato come una vergogna.

Ci sentivamo dire : “Chi ti vuol bene ti fa piangere, chi ti vuol male ti fa ridere”, e questa fu la violenza che segnò la nostra generazione, che ci obbligò di fatto a nascondere la nostra identità, o a rifugiarla nell’arte, un pianeta che ci portava fuori da tutto ciò che quotidianamente ci feriva, calpestando gli ideali dei nostri anni più belli.

E l’Arte fu anche il pianeta di Gabriella.

Per alcuni fu una parentesi di vita, per altri fu l’inizio di un cammino contro corrente, come quello di Gabriella Ferri, come fu anche il mio cammino, e lo è ancora, ora più che mai.

Una scelta quasi obbligata, se volevi difendere la voglia di vivere che ti scoppiava dentro, ma come tutte le cose, avremmo prima o poi dovuto scoprire l’altra faccia della medaglia che pure avevamo scelto.

Ragazze considerate forti, volitive, coraggiose, e così senza accorgecene, la nostra femminilità, giorno dopo giorno, veniva sacrificata dalla stessa forza che emanavamo per gli altri, divenenedo il sostegno al quale tutti potevano appoggiarsi.

Anche nell’amore, nei sentimenti, tanta era la voglia di donare, che negli anni ci siamo dimenticate di fermarci un attimo, per dare tempo a chi ci amava, o a chi ancora ci ama di ricambiare.

Le ragazze di quel tempo, le donne di oggi, annegano nella solitudine, cercano la debolezza come un bene perduto, per la colpa di essere forti, di non arrendersi mai, di rimediare sempre ai problemi quotidiani, prima ancora che pesino su coloro che ci stanno vicini, ma che forse di noi, tutto amano fuorchè la debolezza, la femmminilità pura, il sogno di una giornata senza problemi, il desiderio incolmabile, di sentirsi dire: “Stai tranquilla, ci sono io, che risolvo tutto....”.

E così Gabriella Ferri ce l’ha fatta, ha spiegato le ali della solitudine per quell’ultimo volo all’ingiù, e nei ricordei di tanta gente ha preso vita, per la prima volta, il suo lato debole, fragile, intimamente femminile, quel lato che la vita l’aveva costretta a nascondere, per mostrarsi forte, forte come la sua voce, forte per non chiedere amore, forte per continuare ad amare, rispettando ogni scelta, ogni cambiamento, lasciandosi andare ad una confidenza regalata al figlio lontano, eletto custode di un tesoro prezioso, che lo accompagnerà per sempre: “ Figlio mo, non dimenticare mai che sei tutta la mia vita..”......Parole magiche di chi vuole continuare a vivere dopo la morte, non come un esempio, non come un’artista, semplicemente come una Donna....

Gabriella... perchè te ne sei andata...potevamo cercare insieme “Za-Za...”....

Gabriella Pasquali Carlizzi

Giovanni Circelli ha rappresentato al teatro Eden di Carpi “La valigia dell’attore” , un mimo che ripercorre la storia triste e melanconica di una vita, dietro una maschera che non nasconde la dignita’ del povero, colui che scopre, come nella favola di Pinocchio, il tesoro nascosto in un umile pezzo di legno, la ricchezza di un silenzio che diviene parola decifrabile solo dall’ascolto del cuore.
E’ il 13 dicembre , il giorno in cui si festeggia la Santa della Luce, e come per miracolo, un pubblico commosso, attento, ammirato, ritrova la vista, attraverso un eccezionale mimo, che sembra dire: “non abbiate paura….. …del silenzio…”

 

Carpi:
(dal nostro inviato Elisa Antonelli)

Il Cinema Eden di Carpi, per una sera si è fatto teatro, e direi un teatro con la “T” maiuscola , anche se l’unico attore, Giovanni Circelli, originario di Napoli , ma da ormai quattro anni “adottato” dalla misteriosa Carpi, in provincia di Modena, rientra in quella categoria di talenti, tuttavia sconosciuti, verso i quali lo Stato non si prodiga perché emergano nell’arte contemporanea, al pari di quanti, ebbero il privilegio di arricchire la memoria storica di un popolo, cui certo non mancò l’arte, la creatività, la poesia del dolore e della speranza, fino a porre l’Italia ai primi posti della cultura e della rappresentazione artistica.

Si apre il sipario, la scena è vuota, malinconica, consumata da un tempo che non è definito, e per questo può ripetersi guardando indifferentemente al passato e al futuro….mentre tutt’intorno è silenzio….

Direi quasi un silenzio “sacro”, anche da parte di un pubblico diverso, forse già preparato alla creatività del giovane Circelli, che a Carpi si è fatto conoscere, poco a poco, scambiando continuamente gli abiti della realtà quotidiana, i mestieri per sopravvivere, con quelli di una scena che scuote l’anima e mette a nudo anch’essa una realtà, che ancora si preferisce ignorare, o vivere da osservatori, subendo le conseguenze della rinuncia ad essere tutti e ciascuno, i veri protagonisti della scena di una vita, che è divenire e non staticità, morte sociale, apatia, o crudeltà di chi come noi giorno dopo giorno, dietro le quinte di un teatro, si consegna al proprio nemico, cui cede una ricchezza che è tale finchè abiterà nella sua casa naturale da cui si originò, imprimendo nel cuore e nella mente l’identità di ciascun essere umano sulla terra, una sola identità, non cedibile, non vendibile, benché sia fusibile per affinità, con un solo altro colore dell’elica incrociata che sigilla il Dna di un amore prestabilito.
Giovanni Circelli è un esempio di quell’arte che parte dal cuore di un vissuto personale, un’arte che sboccia all’improvviso e vuole esprimersi in un linguaggio adatto e comprensibile da tutti, da ciascun essere umano al di là del colore della pelle, oltre i confini dello scibile, senza i limiti dell’imparare da un copione già pronto, se non quello stampato dalla vita stessa sulle rughe di un volto senza età, nascoste dalla vernice bianca dell’attore, come un velo steso per pudore sull’intimità pur intuibile da chiunque si riconosca nella vicenda umana comune a tutti.
I sordi, i muti, perfino gli occhi che accendono le luci nella mente dei non vedenti, tutti, proprio tutti, possono riflettersi con coraggio e speranza allo stesso tempo, in quei pezzi di vita di un artista di strada, che sceglie la strada come madre adottiva dove già sa che troverà sempre qualcuno pronto per un piatto caldo, una sedia per riposare, un abito usato per cambiarsi di tanto in tanto, e confondersi tra migliaia di marionette costrette, come noi spettatori, a muoversi obbedienti al comando dell’invisibile Burattinaio della vita.

Ma il Mimo è libero, non ha padroni né visibili né nascosti, egli obbedisce e va dove lo portano i sogni, i ricordi, le speranze, sempre accompagnato dalla fedeltà di una solitudine per quanto amara, pur sempre amica e confidente, come l’ombra di se stesso che si riflette nel suo peregrinare di sentimenti veri o virtuali, come l’ombra che ingigantisce le nostre sembianze, ricordandoci che nessuno di noi è illusione, ma siamo pur fatti di anima e corpo, sentiamo il freddo come il caldo, distinguiamo la notte dal giorno, riconosciamo i volti che sfilano sulla passerella della nostra vita, siamo e saremo sempre, nella buona e nella cattiva sorte esseri pensanti…capaci di piangere… ma anche di sorridere accettando come dono la condizione umana che il fato ha prestabilito per la parte che reciteremo durante la nostra sosta terrena……

E il pensiero corre alla genialità che ispirò Benigni, nel capolavoro cinematografico là dove la realtà della guerra, del razzismo, divennero agli occhi dell’amato figlioletto, un gioco, un gioco al quale avrebbero potuto partecipare solo i più fortunati, per vincere alla fine, il premio di una tragedia come l’Oscar meritato da chi convinto di recitare, aveva raccontato la sua pur triste, drammatica e autentica storia.

Pensare al futuro artistico di Giovanni Circelli sarebbe quasi dissacrare anticipandolo un vissuto dal quale si genererà l’arte di un semplice e complesso linguaggio, fatto di gesti e di religioso silenzio.

Auguri Gianni e…. buona fortuna..!