“COLPO DI SCENA” A FIRENZE, DOVE ERA ATTESA LA SENTENZA PER GLI IMPUTATI MICHELE GIUTTARI E GIULIANO MIGNINI… MA I GIUDICI CI RIPENSANO, I CONTI NON TORNANO, E CHIAMANO SUL BANCO DEI TESTIMONI ECCELLENTI PERSONAGGI ISTITUZIONALI…
GIA’ FISSATE LE PROSSIME UDIENZE PER IL 24 SETTEMBRE E IL 22 OTTOBRE.
“COLPO DI CALDO”, FORSE PER MARIO SPEZI, CHE NELLA PRIMA PAGINA DEL SUO SITO PUBBLICA UN ARTICOLO MOZZAFIATO…
Già da diverso tempo era attesissima la sentenza che vede a Firenze imputati Michele Giuttari e il magistrato Giuliano Mignini, accusati ambedue di abuso d’ufficio e Mignini anche di favoreggiamento per il superpoliziotto.
Un processo che dura da molto tempo, comunque troppo, almeno per chi indossando una toga si ritrova di punto in bianco sul banco degli imputati, sentendosi innocente, e dovendo sopportare le tante e volgari speculazioni che anche da oltre oceano si attuano su questa pagina dolorosa della vita di un magistrato.
Il Pm dottor Turco aveva già chiesto una pena di due anni e mezzo per la divisa e di dieci mesi per la toga.
Inaspettatamente il Presidente del collegio giudicante, Francesco Maradei, ha valutato l’esigenza di ascoltare altri testimoni, dando l’impressione che quanto emerso dal dibattimento fosse carente di ulteriori circostanze che potrebbero anche modificare l’attuale impianto accusatorio a favore o a carico dei due imputati.
Il Giudice Maradei vanta una lunga esperienza in tema di comportamenti che spesso lo hanno chiamato ad esprimere verdetti di condanna a carico di divise, non da ultimi funzionari della Guardia di Finanza, e comunque ha dimostrato particolari capacità di individuare tra le pieghe di appartenenti alle istituzioni nel campo della legge e della giustizia, comportamenti che hanno meritato sentenze esemplari e significative.
Infatti anche quando le sue sentenze godono dell’indulto, spesso prevedono l’interdizione dai pubblici uffici.
Dunque nulla di concluso e nulla di prevedibile di questo processo, nemmeno per quella vasta pletora di “colpevolisti” che speravano di poter utilizzare una eventuale condanna del dottor Mignini, per screditare il suo ruolo di Pm sia nel processo sulla morte di Meredith Kercher, sia nel processo e processi connessi sulla morte di Francesco Narducci e collegamenti con i delitti del Mostro di Firenze.
Ed è anche presumibile che la decisione a sorpresa del Giudice Maradei, non sia stata gradita dagli imputati, se non altro perché costretti psicologicamente e a prova di nervi a rimanere in attesa di un verdetto ancora per molto tempo.
Chi scrive non può esimersi da una personale considerazione e domanda: il dottor Mignini avrebbe potuto evitare di finire sul banco degli imputati?
Ripeto, è un mio pensiero che però non scaturisce dal nulla, bensì deriva dalla conoscenza di moltissimi fatti, alcuni anche molto incresciosi, tutti formalizzati e sottoposti all’attenzione della Procura di Perugia, fatti che se avessero innescato un normale iter giudiziario magari in conformità con l’obbligatorietà dell’azione penale, forse il dottor Mignini non avrebbe subito quanto sta subendo, e forse oggi l’inchiesta sul caso Narducci sarebbe già approdata ad un dibattimento e chi uccise il medico assicurato alla Giustizia, e la memoria delle vittime del Mostro sarebbe stata riscattata da una verità che ancora rimane nell’ombra.
Mi piacerebbe raccontare come testimone, e quindi responsabilmente, davanti al Giudice Maradei i tanti fatti che in questo processo potrebbero rivelarsi utili, fatti che risultano esposti nei tanti fax inviati nel tempo non solo al dottor Mignini, ma anche all’ex Procuratore Capo di Perugia dottor Miriano, alla Gip dottoressa De Robertis, fatti che per onestà e con coraggio ho sempre rappresentato, nella speranza di salvare l’onorabilità di una inchiesta che tanto sangue ha seminato.
Il Procuratore e il Gip saranno presumibilmente ascoltati dal Giudice Maradei, e anche due agenti del Gides, e forse per comprendere totalmente un quadro tanto complesso bisognerebbe ascoltare anche alcuni agenti della Squadra Mobile, sezione di Polizia Giudiziaria del dottor Mignini, persone che quando fu riaperto il caso Narducci, prima ancora che l’inchiesta fosse collegata con quella fiorentina sui mandanti del Mostro, questi poliziotti diedero un impulso esemplare verso la ricerca della verità, impulso che poco tempo dopo apparve mortificato con metodi violenti da chi, venuto da fuori, vantava la superiorità di grado, nel migliore dei casi, con prepotenza.
E l’armonia di una squadra stretta intorno ad un magistrato onesto, sembrò sgretolarsi piano piano, sostituendosi ad un “dictat” sofisticato, capace solo si rendere fragile ciò che era forte, di depistare dai giusti orientamenti, di provocare reazioni dure da parte di vertici istituzionali, oltre ad un senso generale di stanchezza, di noia, per una inchiesta ormai lunga quarant’anni.
Il dottor Mignini non poteva certo conoscere se non superficialmente, i giochi sporchi attuati per decenni all’insegna delle indagini sul Mostro di Firenze, lui è entrato in questa realtà solo alla fine del 2001, e forse nemmeno con l’immaginazione avrebbe sfiorato quanto di mostruoso e grottesco era avvenuto prima, succedendosi una poltrona dietro l’altra con compiti prestabiliti e non certo favorevoli alla ricerca delle verità più scomode, oggetto di ricatti, di carriere brillanti, di odii antichi nel tempo, di doppiogiochisti degni di un circo sempre pronto a far sbranare i disturbatori dalle belve feroci del potere.
Solo chi ha vissuto da vicino le vicende del Mostro, ma ancor più frequentando le sedi dove si decideva di volta in volta quale Mostro tirare in ballo, poteva comprendere che le vittime hanno sempre occupato l’ultimo posto, precedute e uccise ripetute volte dall’azione di poteri occulti che hanno manovrato come manovalanza gli stessi operatori degli ambienti giudiziari.
A Firenze, in questa storia, fin dall’inizio si sono determinati asprissimi conflitti tra la magistratura inquirente e la polizia giudiziaria, siano essi stati carabinieri o polizia di stato, e già tale evidenza porta alla amara considerazione che la verità era in qualche modo “gestita” dalla disarmonia.
Tanto per dirne una, l’ex capo della Sam, Ruggero Perugini e l’ex capo del Gides Michele Giuttari, si sono sempre odiati, arrivarono anche a denunciarsi, nonostante ambedue godettero dello stesso incarico sui medesimi delitti.
Ebbene, c’è da chiedersi, se quando si determinano certe sgradevoli situazioni, senza nemmeno entrare nel merito di chi ha ragione e di chi ha torto, non sia opportuno per non ledere la fiducia dei cittadini verso le istituzioni, rimuovere i due avversari, anziché consentire all’uno di succedere alla poltrona dell’altro.
E’ umano che alla luce di tali conflitti, la ricerca della verità spesso diviene materia di contendere, allontanandosi dalla verità stessa.
E allo stesso modo potremmo chiederci se quando alla Squadra Mobile di Perugia, si presentò l’ex capo del Gides, si stabilirono rapporti armoniosi, oppure si crearono nuovi conflitti interpersonali?
Non dimenticherò mai, lo sfogo drammatico di una divisa perugina, e non solo una…
Grazie a Dio, posso dire di avere la coscienza a posto, poiché dopo aver conosciuto a fondo le mostruosità di un certo personaggio, non ho mai omesso di documentare tutto ciò che prima o poi, dovrà venire in luce.
Il disagio è enorme, nel ripercorrere le tante denunce di cui sono stati edotti gli ambienti giudiziari di Perugia a carico di chi, stante i fatti, sembra essere stato “intoccabile”, e non mi riferisco a presunti Mostro e Mostri, mi riferisco a chi dovrebbe rappresentare non se stesso, ma la Legge.
In tema di Giustizia, penso non sia nemmeno il caso di discutere sulle valutazioni che indussero il dottor Mignini ad interessarsi di una circostanza assai inquietante che vide come protagonisti da un lato Michele Giuttari e dall’altro il dottor Paolo Canessa, sicuramente il dottor Mignini avrà avuto le sue ragioni, tuttavia penso che se avesse lasciato la matassa nelle mani di chi se la doveva sbrogliare da solo, la sua vita di magistrato sarebbe continuata tranquilla, senza dover scrivere per lui e la sua famiglia una pagina tanto dolorosa, al di là di quella che sarà una sentenza.
Chi glielo ha fatto fare? Questo è il punto, questo è forse il nodo da sciogliere.
Il dottor Mignini era nelle condizioni tali da non interessarsi di una vicenda a lui estranea?
A mio parere si, ma potrei anche sbagliarmi, tuttavia poiché esistono atti e documenti che mi inducono ad esprimere la mia convinzione, penso che se il Giudice Maradei mi interrogasse, ne guadagnerebbe la coscienza della verità.
E non possiamo escludere che dopo la mia eventuale testimonianza si renda necessaria anche la testimonianza o un confronto con l’avvocato Fioravanti, benché costui difenda in questo processo Michele Giuttari e in altri processi gli agenti del Gides.
Problemi di compatibilità?
Li affronteranno i Giudici se ce ne sarà bisogno.
Sarebbe ad esempio interessante analizzare in senso cronologico molte mie denunce o fax, sempre che non siano “spariti”, (conservo copia di tutto), atti formalizzati presso la Procura di Perugia, presso la Squadra Mobile di Perugia, e le sezioni di Polizia Giudiziaria di Perugia, alcuni fax inviati come già detto al Procuratore Miriano e alla Gip De Robertis, sarebbe interessante verificare quanti di questi atti portano una data precedente ai fatti che la Procura di Firenze contesta in questo processo al dottor Mignini, e trarne conclusioni più conformi ad una verità sostanziale, oggettiva, serena.
E per quanto riguarda le ultime decisioni del Giudice Maradei, che possono aprire nuovi e più ampi scenari, pensiamo di aver esercitato il nostro diritto-dovere di cronaca.
Passiamo ad altro…
In questi stessi giorni, coloro che avranno visitato il sito web di Mario Spezi, avranno letto nella sezione “rivelazioni” un suo articolo ancora visionabile a questo link:
mariospezi.it e dal titolo: “Per il Pm Mignini, Spezi uccise Narducci, perché è lui il vero Mostro di Firenze”.
Più inquietante l’occhiello: “ In questa calda estate, forse troppo“.
(Non riteniamo al momento di riportare per intero l’articolo di Spezi, ma assicuriamo chi ci legge che il testo è stato salvato e quindi nulla andrà perduto).
C’è da mettersi le mani nei capelli, né sappiamo dare un nome all’iniziativa di Spezi, coraggiosa, temeraria, provocatrice, messaggio in codice per destinatari eccellenti, autolesionista, insomma il contenuto di questo articolo sembra prestarsi alle più fantasiose ed inquietanti ipotesi.
Un fatto è certo, che l’avere elencato nomi di quel livello, seppure fatti da una terza persona, non certo dalla sottoscritta, e per di più dichiarando che tali nomi figurano su un documento segretato, lascia in chi legge non pochi sospetti.
Come pure lo stile sofisticato del titolo:
“Per il Pm Mignini, Spezi uccise Narducci, perché è lui il vero Mostro di Firenze”.
Provate a leggere più volte a voce alta questo titolo, e alla fine vi chiederete chi sia mai questo “lui”, in un contesto dove compaiono ben tre nomi.
Paradossale, e nessuno potrà mai mettere in dubbio l’abilità della penna di Spezi, e della sua stessa mente, anche se l’analisi che dovrebbe essere fatta meriterebbe un osservatorio più attento e responsabile.
Attenzione, nell’occhiello il giornalista nel definire calda questa estate, aggiunge un “troppo”: cosa vuole dire o mandare a dire?
Perché invece di elencare nomi di nobili e vip, non ha pubblicato l’avviso di udienza preliminare che gli è stato notificato, ove gli si contestano determinati reati?
E il documento cui fa riferimento, non è più segretato da qualche anno, quando fu lo stesso Spezi, nel corso di una conferenza stampa a Firenze, a mostrarlo e leggerlo dicendo:
“Ora sto per commettere un reato, in quanto questo documento è segretato, ma io commetto il reato e in questo momento lo rendo pubblico”.
Parole che risultano dallo sbobinamento delle registrazioni della suddetta conferenza.
Ora, la stampa non riportò giustamente quanto poteva innescare un meccanismo di querele a catena, e dunque Spezi ha deciso di farsi egli stesso carico di eventuali ulteriori rischi giudiziari, onde far conoscere ad eccellenti personaggi ciò di cui la magistratura inquirente non dovrebbe aver trovato riscontri, ma questo piccolo particolare Spezi lo tralascia.
Anzi, nel dire che al momento è lui l’unico indagato, lascia intendere che anche qualche “intoccabile” potrebbe cadere nella rete della magistratura.
Probabilmente questi personaggi non hanno letto i loro nomi finiti sul portale di Mario Spezi, altrimenti qualche censura si sarebbe vista, come pure è possibile che qualunque cosa costui dica o scriva, non goda più di alcuna credibilità, anzi si preferirà fargli terra bruciata attorno.
Sul mio conto invece Spezi dice alcune cose vere e alcune cose false.
E’ infatti vero il mio particolare rapporto con la Fede in Dio, nella Madonna, in Gesù, poi ognuno può interpretarlo come vuole, preghiera, dialogo, ispirazione, ma risulta che anche sua mamma aveva una straordinaria devozione per la Madonna di Fatima.
Spezi stesso ne ha parlato in un suo bellissimo libro.
E’ del tutto falso invece che io mi sia fatta consegnare il documento “galeotto” da tale Rizzuto, andandolo a trovare in un carcere italiano, ove all’epoca costui era recluso.
Anzi, esiste una informativa della Questura, nella quale viene rigettata la domanda che presentò il Rizzuto per avere un colloquio con me in carcere.
Dunque a me il documento giunse per una normale via, accompagnato da una lettera in cui mi si chiedeva di trasmettere il documento stesso al dottor Mignini unitamente alla richiesta di essere da questo magistrato interrogato.
Trasmisi tutto come era mio dovere, senza nemmeno entrare nel merito dei contenuti, né conobbi mai le valutazioni del magistrato, se non per aver letto sui giornali che questo detenuto era stato realmente interrogato.
Ora, perché Spezi su fatti che sono contestati da informative ed atti giudiziari, scrive ciò che non risponde al vero?
Qual è il movente del suo agire?
Lo Stato, nelle sue articolazioni, si sta ponendo questi quesiti e sta valutando responsabilmente i problemi connessi a queste strane circostanze, non certo frutto di una estate calda, ma forse inquietanti per quel “troppo” messo lì… e fin troppo eloquente?
1. Il Pm Giuliano Mignini;
2. Michele Giuttari;
Già, proprio così, anche se non è cosa di poco conto stabilire con certezza se il cadavere ripescato il 13 ottobre del 1985 fosse quello di Francesco Narducci, come sostengono alcuni familiari, oppure fosse di un altro poveretto, come sostiene la Pubblica Accusa, altri familiari, e come in verità è convinta la sottoscritta.
Le opinioni personali tuttavia non costituiscono prova, in un giudizio occorrono elementi concreti e scientificamente validi, specialmente se il fatto in se stesso potrebbe costituire la chiave di volta di un mistero che dura da ben quarant’anni.
Infatti, se si dimostrasse che nel 1985 avvenne uno scambio di cadaveri nell’ambito di un unico disegno criminoso, non ci si potrebbe esimere dal ricercare nei responsabili il movente di un simile agire.
E poiché il caso giudiziario fu riaperto sulla base di sospetti circa eventuali collegamenti tra Narducci e i delitti attribuiti al Mostro di Firenze, ecco che lo scrupolo di chi deve decidere se aprire un processo oppure archiviare, è più che giustificato.
Un processo, a dire il vero, sembra lo si stia già celebrando, parlando da profani, nel senso che già per molti mesi sono stati ascoltati testimoni nell’ambito di un complesso incidente probatorio, e da mesi e non se ne vede ancora la fine, è in corso l’Udienza Preliminare per la eventuale disposizione del rinvio a giudizio di 22 imputati o parte di essi.
L’abbiamo già rilevato , ma ci piace rimarcare il fatto un po’ inconsueto circa l’ascolto in questa fase dei periti nominati dalle parti in causa, i quali nella maggioranza dei casi si confrontano durante il dibattimento.
E l’esigenza del Giudice induce anche a dubitare circa una carenza di prove testimoniali, specialmente quelle rese nell’incidente probatorio davanti al Giudice De Robertis, testimonianze che forse non sono state sufficienti a far scattare la molla di un sereno, “Questo processo s’ha da fare!”. Siamo nel campo delle semplici ipotesi…
Cos’è che non avrebbe convinto il Giudice, al punto da voler ascoltare egli stesso i periti?
Diciamo pure che fin dal 2001 in questa inchiesta sono apparse molte “contraddizioni”, alcune difficili da interpretare, e tali da dare una sensazione di incertezza, sensazioni che nel tempo hanno provocato scuole di pensiero diverse, se non diametralmente opposte.
Dovremmo ripercorrere le tante tappe che hanno riempito le prime pagine dei giornali, e allora ci si accorgerebbe che da testimoni si è diventati imputati, da imputati a testimoni, da parti offese ad indagati, mentre restano a tutt’oggi, agli occhi della pubblica opinione, tanti sospetti che avrebbero potuto essere forse fugati, in un clima di maggiore serenità.
Non sono mancati gli ostacoli, è vero, ma prima di decidere di mandare alla sbarra tante persone nel fine ultimo di chiarire qualcosa di assai più grave della morte del medico, sia stata essa procurata o conseguenza di una disgrazia, fa bene il Giudice a volerci vedere chiaro.
Le liti tra inquirenti, forze di polizia, uomini prima coordinati in un’unica ricerca della verità, oggi gli uni di fronte agli altri, imputati e giudici, non possono che indurre ad una coscienziosa riflessione e verifica circa l’eventuale esistenza di personalismi, di pregiudizi, di tutto ciò che in una inchiesta giudiziaria non dovrebbe mai verificarsi.
Un aspetto particolare è poi quello relativo al ruolo di molti giornalisti, come la sottoscritta, divenuti in varie fasi testimoni fondamentali, e allo stesso tempo intercettati, poi indagati, il tutto in un quadro a dir poco confuso, ma sicuramente meritevole di un chiarimento da parte di chi è preposto a far si che coloro che rappresentano la giustizia non cadano in errori tanto gravi da recare danno alla giustizia stessa, oltre che di volta in volta a chi ne rimane vittima a livello personale.
Da molto tempo sto riflettendo su questi aspetti apparentemente insignificanti nell’ambito di una inchiesta che vede argomenti di storica importanza, tuttavia, da quando ho esposto in un articolata ricostruzione una serie di eventi a mio avviso “paradossali”, mi sono resa conto che proprio nelle pieghe di queste circostanze si nascondono le fragilità di verità che si vogliono dimostrare.
Ripeto, e ne sono stata protagonista, la mia convinzione è che Francesco Narducci sia stata l’ultima vittima del Mostro di Firenze, e pertanto che la sua morte e quanto organizzato per l’occultamento del cadavere e il contestuale scambio con altro cadavere siano fatti riconducibili ai delitti delle coppiette.
E sosterrò a vita questa tesi, scriverò altri libri, coinvolgerò altri apparati, ma formalmente questa “verità” deve essere dimostrata nella sua sede naturale.
Ne consegue che l’intero andamento dell’inchiesta in corso, dovrebbe godere di stima, ineccepibilità, ampia credibilità, insomma ci si dovrebbe presentare al mondo intero con un biglietto da visita di tutto rispetto.
Se così non fosse, qualunque verità rischierebbe di perdere di consistenza, di oggettività, a causa di di comportamenti discutibili da parte di coloro che pur la perseguono.
Gli americani ce ne stanno dando ampia prova, nel caso Meredith Kercher, quando gridano dalle pagine dei giornali internazionali l’innocenza di Amanda!
E tentano in modo più che scorretto di fare intendere: “Amanda è innocente, perché il Pm è imputato egli stesso..”.
Ora, proviamo ad immaginare, nell’ipotesi che il Giudice Micheli disponga il rinvio a giudizio, quali carte giocherebbero nel dibattimento le difese degli imputati.
Ebbene, seppure sul piano della sostanza a mio avviso ne hanno poche, su piano della forma ve ne sarebbero fin troppe, e tutte capaci di porre in evidenza “contraddizioni” gravissime.
D’altra parte, in coscienza, come si fa a non mettere in condizioni di difendersi persone che se condannate resterebbero marchiate a vita?
E se è vero che si cerca una verità tanto complessa, è pur vero che questa verità non la si può privare di una parte solo perché la distribuzione dei ruoli processuali pone alcuni sul banco degli imputati, altri ben comodi come parti lese, e tanti altri… tanti altri… già… tanti altri?
In questo periodo ho dovuto far sbobinare le centinaia di registrazioni che custodisco da anni presso un notaio, e ne ho fatto copia perché fossero prese in considerazione al fine di comprendere cosa vi fosse dietro taluni comportamenti.
E’ evidente che queste registrazioni sono state nel tempo tutte da me prodotte all’A.G., come da verbali di ricezione.
Bene, chi le ha ascoltate, e parlo di persone autorevolissime, si sono messi le mani nei capelli.
Le reazioni sono state tutte del tipo:
“Ma signora Carlizzi, questa “tizia” col nome che porta, e che le ha detto tutte queste cose, è stata indagata?...
E questo personaggio che per mesi e mesi ha parlato con lei al telefono, oggi sarebbe a suo carico parte offesa?
E questo è poi diventato il professionista più importante…?
E’ sicura che l’indagata sia lei, o è un suo pensiero?...
Sa, questi fatti appaiono molto gravi e poi .. poi…
Ma scusi, lei avrebbe affermato in una trasmissione televisiva ciò che le era stato riferito da una autorevole persona, e lei provvide a registrare tutto e a consegnare copia delle registrazioni, è così? La trasmissione andò in onda nel 2004, e dunque lei il reato che le si contesta lo avrebbe compiuto in quella data.
E come è possibile che l’avviso di conclusioni delle indagini le sia stato notificato ben cinque anni dopo?
E perché nonostante le registrazioni non si fu chiesta per lei l’archiviazione, il che farebbe pensare che chi le ha dichiarato certe cose non risulti tra gli indagati. …?
Poi, scusi non so se sto leggendo bene oppure no… ci faccia capire, che significa:
“…e turbato così le indagini sul procedimento (n…)… e in particolare l’escussione degli stessi in un incidente probatorio…” ?...
Scusi, ma vorrei che i miei colleghi fossero presenti…
Ecco, signora, lei dunque come parte offesa fu presente alle udienze dell’incidente probatorio, quando depose questo testimone.
Era nel suo pieno e legittimo diritto, dunque.
Ora risponda alle nostre domande.
Era assistita da un avvocato? E Come si svolsero i fatti?...”
Risposta:
“In verità fu fatta una richiesta al Giudice affinchè disponesse per me il divieto di presenziare all’udienza. Naturalmente questa richiesta fu rigettata. E dunque andai.
Non presi mai la parola, e il mio avvocato, come tutti gli altri avvocati, interrogò il testimone.
Tutto qua. Anzi il testimone, dato che eravamo stati molto amici in passato, in aula mi si avvicinò e mi abbracciò.”
“Allora signora, lei ci assicura che in quella udienza non accadde nulla, non fu mai ripresa dal Giudice, tutto si svolse nel rispetto delle regole? “
Risposta:
“Si, assolutamente si.”
“Dobbiamo dedurre qualcosa di molto grave. E d’altra parte ci sarebbe il precedente tentativo di vietarle un suo diritto inviolabile. Ci dica, cosa c’è dietro fatti così …?”
Risposta:
“Non lo so, ma la mia sensazione è che lo stesso magistrato può essere vittima di una regia occulta… personalmente l’ho sempre stimato, ma non spetta a me giudicare”
“Noi però abbiamo il dovere di capire. Piuttosto, immaginiamo che lei si sarà presentata per chiarire ed evitare un rinvio a giudizio?”
Risposta:
“No, non farei un servizio alla Giustizia, io voglio che queste registrazioni e documenti vengano fuori in un processo pubblico. Ho sempre pensato che dietro Mostro di Firenze e il caso Narducci , in quarant’anni di indagini, si siano nascoste “ragioni di Stato”, o meglio di “antistato”, e per questo il mio personale interesse passa in secondo piano…”
Ora, i miei lettori si chiederanno il perché ho raccontato uno dei tanti episodi strani che hanno “arricchito” questa inchiesta.
Semplice.
Per far comprendere che se non si è giunti ad una verità oggettiva dopo tanti anni, il motivo non va addebitato alla magistratura, anche se apparentemente può sembrare giusto, ma la mia convinzione è che gli stessi magistrati, al di là del territorio di competenza, siano inconsapevolmente rimasti vittime di poteri che hanno avuto l’unico scopo di indebolire l’inchiesta mediante eventi che possono indurre dubbi, perplessità e in definitiva provocare una serie di archiviazioni.
Ribadisco il mio pieno rispetto per tutti i magistrati sia di Firenze che di Perugia che si sono occupati e si occupano di un caso tanto complesso, e per questo ritengo giusto che chi di competenza analizzi tante circostanze in una sede diversa da quella prettamente giudiziaria, proprio perché ci si avvii ad un eventuale processo nella massima serenità e senza il rischio di capovolgimenti clamorosi, come quello che vide Pacciani prima condannato a quattordici ergastoli e poi assolto dalla Corte d’Appello.
In soldoni, quanto costò allo Stato Italiano il “processo Pacciani”?
2. Ministro Alfano;
3. Ministro Maroni;
4. Punti interrogativi.
E DUNQUE E’ STATA ACCOLTA IN PIENO LA RICHESTA DEL PM GIULIANO MIGNINI E RIGETTATA INVECE L’OPPOSIZIONE DEGLI INDAGATI CHE PRETENDEVANO UN PROSCIOGLIMENTO CON FORMULA PIENA. E GLI STESSI FAMILIARI DEL MEDICO MIRAVANO AD UN VERDETTO CHE SANCISSE L’ASSOLUTA ESTRANEITA’ DEL NARDUCCI DAI DELITTI ATTRIBUITI AL MOSTRO DI FIRENZE…
Certo per Mario Spezi, Francesco Calamandrei, altri due indagati e gli stessi familiari di Francesco Narducci, il verdetto del Gip rappresenta un duro colpo, un’ombra che rischieranno di non potersi più togliere di dosso.
E indubbiamente uscire per la strada e sentirsi guardati con sospetto, è sicuramente peggio di una sentenza di colpevolezza, contro cui ci si sarebbe potuti appellare.
Infatti, questa sentenza di proscioglimento per insufficienza di prove, è stata emessa da un Gip, e non da una Corte d’Assise, come invece, ricorderete, fu per il senatore Giulio Andreotti, il quale dovette ricorrere per ben due volte, fino alla Cassazione, poiché su di lui pesava l’onta di una assoluzione per “insufficienza di prove”… Come dire, so che sei colpevole, ma le prove tecniche per dimostrarlo in un processo non sono state sufficienti.
Se poi nel caso di Narducci pensiamo che qualcuno dei “prosciolti” dal Gip figura tra i 22 imputati eccellenti per cui il Gup Paolo Micheli dovrà decidere per un rinvio a giudizio, allora la situazione si fa davvero pesante.
Il dubbio lasciato da una “insufficienza di prove”, andrà sicuramente ad aggiungersi ai dubbi e anche alle certezze del procedimento principale.
D’altra parte, da alcune indiscrezioni si è appresa della rabbiosa reazione sia dei “prosciolti” che dei familiari della vittima.
E la domanda è d’obbligo, almeno per i profani in materia di diritto: “ Perché vi arrabbiate? Siete stati “prosciolti”, e non siete contenti?”
E come potrebbero rallegrarsi, con un sospetto sulle spalle che è peggio di una condanna a vita?
Viviamo tempi in cui la storia ci dimostra che quando si arriva ad una sentenza di innocenza o di colpevolezza, pur dovendola rispettare, non è detto che quella sentenza rispecchi la verità oggettiva, ma la si debba considerare come le risultanze di un dibattimento che non può andare oltre quella che prende il nome di verità processuale.
E questa verità a volte coincide con la verità sostanziale, ma molte altre volte no.
Lo dicono tutti: i processi si fanno sulle carte.
Non a caso, molti imputati che sanno di essere colpevoli chiedono il giudizio con il rito abbreviato, rito che si celebra solo sulle prove o documenti raccolti fino a quel momento, vale a dire si evita un dibattimento vero e proprio con il rischio che emergano magari le famose prove schiaccianti.
E in caso di condanna si ha pure uno sconto di pena.
Tanto per fare un esempio nella fattispecie di questo caso, a Firenze il farmacista Calamandrei, accusato di essere insieme ad altri il mandante dei duplici delitti, si è fatto giudicare con il rito abbreviato, ed è stato poi assolto.
E’ assai probabile che se si fosse celebrato un processo con il rito ordinario, il farmacista sarebbe stato invece condannato.
Tuttavia, l’assoluzione ottenuta in un processo, al di là del rito, è una assoluzione, e come tale va rispettata.
Ben diverso è il non essere stati processati, e uscirsene con un proscioglimento per “insufficienza di prove”, da intendersi non come insufficienti prove di colpevolezza, attenzione, ma come prove insufficienti per la celebrazione di un processo.
Qualcuno si chiederà: “Ma se il Pm Giuliano Mignini è tanto convinto che il medico perugino sia stato ucciso, perché nei confronti di Spezi, Calamandrei ed altri due, accusati di essere stati gli autori dell’omicidio, ha poi chiesto l’archiviazione per insufficienza di prove?”
E qui ancora una volta, è bene chiarire che il concetto di “Giustizia” comunemente intesa dalla pubblica opinione, spesso lo si confonde con le regole che i Magistrati devono applicare alla Legge.
E spesso vediamo come l’applicazione della Legge, genera un profondo senso di ingiustizia.
Quanti di noi si ribellano nel vedere scarcerati e a piede libero, ragazzi che una settimana prima hanno commesso un crimine, una violenza, uno stupro?
Eppure chi li rimette in libertà, non fa altro che applicare la Legge.
I nostri codici sono i più garantisti del mondo, e da quando abbiamo un Berlusconi, assicurare alla
Giustizia un criminale è davvero difficile.
Le conseguenze non mancano, in quanto alla sfiducia dei cittadini si aggiunge la demotivazione degli stessi operatori giudiziari, i quali rischiano spesso anche la vita, per poi sentirsi dire dagli assassini: “Avete fatto tanto rumore, per nulla…”.
E a volerla dire tutta, è difficile nei tempi in cui viviamo, resistere da parte di magistrati, giudici, poliziotti, carabinieri, guardia di finanza, agenti carcerari, è difficile resistere alle tante occasioni di corruzione.
Senza contare che il Pm Mignini, sta dando prova di “eroicità”, nel non reagire a norma della Legge ai tanti e indecorosi attacchi che da anni sta subendo, comprese volgari intimidazioni giudiziarie.
E chissà quante volte si è sperato che il Magistrato querelasse, per farlo uscire di scena, divenendo egli stesso “parte offesa”, ma lui ha resistito, non è cascato nella trappola dei criminali, gli stessi che non sfuggiranno alla sbarra.
Ed è anche bene sapere che quando si indaga qualcuno, vi sono termini prefissati per le indagini, e spesso questi termini sono insufficienti e dunque onde evitare una archiviazione per scadenza di termini, è lo stesso Pm che la chiede per “insufficienza di prove”, un concetto che può estendersi anche al non avere avuto il tempo necessario ad acquisire ulteriori prove.
Un procedimento archiviato per scadenza dei termini, non è facilmente riapribile.
Al contrario, ciò che è insufficiente , in ogni momento può diventare più che sufficiente.
E ci si dimentica forse, che qualcuno è imputato per “violazione del segreto istruttorio” ?
Ebbene, questo “qualcuno” violò il segreto quando consegnò alla sottoscritta il materiale provante che parte dei risultati di una indagine a carico di uno dei “prosciolti” furono distrutti, “dischetti bruciati”, all’interno di una sede investigativa di polizia giudiziaria di Firenze.
Ma guardate caso, che se quelle prove non fossero state bruciate, per il “prosciolto”, la galera era assicurata!
E speriamo che F.P. si decida a verbalizzare senza se e senza ma, e nemmeno ricorrendo ai “ni”, raccontando egli stesso ciò che vide nell’esercizio delle sue funzioni come pubblico ufficiale, e allora forse quella clamorosa svolta che tanti attendono ci sarà, e i feticci asportati alle vittime del Mostro, saranno finalmente tolti dalle mani di qualche “prosciolto”.
Oppure su questo fatto dobbiamo “sorvolare” , per non mettere nei guai un noto poliziotto?
E speriamo che qualcuno mi interroghi su questa vergognosa pagina, se davvero si perseguono fini di verità.
E per chi conosce tante verità, è difficile resistere e non rispondere alle provocazioni che una certa pseudo stampa da ieri veicola, nel diffondere notizie stravolte, tendenziose e portatrici di pesanti “messaggi in codice”, questa volta diretti al Gup Paolo Micheli.
Leggete voi stessi quanto ha pubblicato ieri “TamTam” il giornale online. Visibile cliccando a questo link :
Morte di Francesco Narducci: archiviata l'indagine per omicidio
La decisione del Gip di Perugia non potrà che condizionare anche il procedimento per il presunto "depistaggio" in occasione del ritrovamento del cadavere 24 anni fa
Tutto da rifare, se ce ne sarà il tempo, per sapere come morì sul Lago Trasimeno, quasi 24 anni fa Francesco Narducci.
Il gip di Perugia ha archiviato il fascicolo per omicidio sulla morte del medico scomparso nel lago Trasimeno l'8 ottobre del 1985 .
I quattro che erano stati indagati ed avevano sempre respinto ogni addebito, ora sono stati prosciolti dall'accusa di essere stati coinvolti nel presunto omicidio.
Era stato il Gip di Perugia a chiedere l’archiviazione dell’inchiesta non riuscendo ad avere certezze.
Ma alla richiesta di archiviazione si erano opposti il padre e il fratello del medico, parti offese nel procedimento, chiedendo che fossero stabilite «scientificamente e con assoluta certezza» le cause della morte. ritenendo che il loro congiunto fosse morto per un incidente o per un suicidio.
Ancora in corso invece davanti a un altro gip di Perugia l'udienza che riguarda tra l'altro un presunto scambio di corpi in occasione del recupero del cadavere di Narducci nelle acque del Trasimeno, ma su questo procedimento la decisione si ritiene rimanga fortemente condizionata dal fatto che, alla luce del pronunciamento del Gip, non ci sarebbe alcun mistero dietro alla morte del gastroenterologo perugino.
Evidentemente i cronisti di questa testata online, non dispongono in redazione nemmeno di un codice di procedura penale, onde consultarlo prima di mettere nero su bianco, diffondendo notizie che oltre che confondere la pubblica opinione, diventano veicoli di inquietanti messaggi per un Giudice che deve ancora esprimersi.
Ma dico io, come vi permettete di scrivere certe cose?
O non sapete che da quando dal codice fu eliminata la troppo abusata formula della “insufficienza di prove”, la stessa fu reintegrata nell’articolo 530 al comma 2 del codice di procedura penale?
O non sapete che questa formulazione fu oggetto di discussioni perché al tempo della cosiddetta “Prima Repubblica”, quando la magistratura si trovava di fronte agli “intoccabili”, per dire che erano si colpevoli ma che non si potevano condannare, dati i nomi che portavano, ricorrevano alla “insufficienza di prove”? E questo si verificava nei processi.
Nel caso del vostro amico e collega Mario Spezi, è diverso, perché il verdetto non è scaturito da alcun processo, ma dalla richiesta di un Pm, pienamente accolta dal Gip.
E il Pm, se un anno fa non disponeva di prove sufficienti per andare a giudizio, è assai probabile che ne sia in possesso ora, o più in là, e decida di indagare di nuovo gli attuali “prosciolti”.
E ancora dico, come vi permettete di scrivere:
“…Ancora in corso invece davanti a un altro gip di Perugia l'udienza che riguarda tra l'altro un presunto scambio di corpi in occasione del recupero del cadavere di Narducci nelle acque del Trasimeno, ma su questo procedimento la decisione si ritiene rimanga fortemente condizionata dal fatto che, alla luce del pronunciamento del Gip, non ci sarebbe alcun mistero dietro alla morte del gastroenterologo perugino.”
Ma siete matti? Definire un proscioglimento per insufficienza di prove, come un condizionamento per la decisione di un altro procedimento?
A chi state parlando al Gup Paolo Micheli?
E, consentitemi, per conto di chi?
Ma forse non sapete quali atti vi siano in quel fascicolo?
O pensate che otto anni di indagini, di testimoni che rischiano la vita, di spese sostenute dall’amministrazione giudiziaria, in un momento di crisi come questo, possano essere cancellate da un bel colpo di spugna?
Tra gli imputati su cui il Gup Micheli dovrà pronunciarsi, ce ne sono due che sono stati in carcere, nel merito di questo giudizio, con un provvedimento di custodia cautelare. E nel caso non fossero rinviati a giudizio, l'Amministrazione giudiziaria dovrebbe risarcirli per ingiusta carcerazione.
E uno dei due, tempo fa già chiese il risarcimento e la Corte ha risposto che solo in presenza di una sentenza definitiva di assoluzione piena, avrebbe diritto ad essere risarcito. Riflettette anche su questi aspetti, poichè lo Stato non ha denari da sprecare, lo Stato se un Giudice sbaglia, è giusto che risarcisca, ma forse vorrà essere sicuro dell'errore dopo un processo di primo, secondo e terzo grado.
Per carità, come disse in udienza il professor Pierucci: “Tutto è possibile..”, ma personalmente credo nella dignità di chi rappresenta la Giustizia, e nella responsabilità morale di dare alla pubblica opinione l’opportunità di sfatare tanti sospetti e recuperare questa verità, almeno in un dibattimento, ove i tanti testimoni che per aver compiuto il proprio dovere, oggi sono sotto minaccia, e solo in un processo a porte aperte potrebbero evitare la morte.
Se sul Caso Narducci-Mostro di Firenze cadesse il silenzio, chissà quanti suicidati o morti in qualche incidente stradale, si aggiungerebbero alla lunga scia di sangue che ha scritto questa drammatica storia.
Sarebbe più giusto schierarsi dalla parte delle vittime e di coloro che come direbbe Lucarelli, sono già morti e non lo sanno….
1. Francesco Narducci;
2. Mario Spezi;
5.Senatore Giulio Andreotti.
E SEMPRE PER RESTARE IN TEMA DI DIAVOLO, POSSIAMO CONFERMARE CHE SE IL CORNUTO FA LE PENTOLE, NON E’ RIUSCITO A FARE I COPERCHI…
Forse prevedendo che l’atmosfera si sarebbe fin troppo riscaldata, qualcuno ha pensato bene di tenere tutti al “fresco”, al piano meno due dello stabile dove anche San Francesco fu carcerato.
Già alle nove del mattino fuori del Palazzo erano pronte le telecamere, tante in verità, e la prima ad essere immortalata, ormai per l’ennesima volta dal 2001, è stata la sottoscritta.
A questa udienza non potevo mancare, la mia coscienza non me lo avrebbe permesso, e non perché ho la veste di “parte civile” , ma il motivo e l’esigenza morale di essere presente va ricercato in quel lontano giorno quando misi a verbale con il dottor Mignini di aver saputo da un ex di una nota organizzazione criminale che Francesco Narducci non era affatto morto di disgrazia né si era tolto la vita, bensì lo si poteva inserire nella categoria dei “suicidati”, quei morti ammazzati che spesso passano per suicidi.
E in quel verbale, aggiunsi: “sempre che quel corpo ripescato fosse del medico…”.
Fu un tutt’uno lo scatto del Magistrato, e lo sguardo con i verbalizzanti, come se avessi toccato un punto nevralgico dei loro sospetti per fatti e circostanze che all’epoca non mi erano note.
Di lì fu disposta, almeno per atto dovuto, la riesumazione del cadavere di Francesco Narducci.
Ne seguì un lungo e complesso caso giudiziario, con tanto di collegamenti con i duplici delitti del cosiddetto Mostro di Firenze.
E ciò che riferii al Magistrato, fu poi pubblicato nel mio noto libro “Gli Affari Riservati del Mostro di Firenze”, libro finito di stampare già nel maggio del 2002, quando ancora dei risultati delle perizie nulla si sapeva, come dire, la mia testimonianza fu resa “in tempi non sospetti”.
E così, ritenendomi responsabile di tutto “questo casino”, come un imputato commentava a bassa voce con il difensore, non ho voluto mancare all’appello.
E ho fatto bene, molto bene, e vedremo il perché.
Intanto, mentre eravamo in attesa che si aprisse l’Aula, vedo arrivare il professor Giovanni Pierucci di Pavia, una cordiale e reciproca stretta di mano, e lui: “Bergamo!... Mi ricordo benissimo..”
Effettivamente, quando nel 1995 denunciai quello che prese il nome dello scandalo della “Clinica dei Vip”, conclusosi con la condanna definitiva di tutti gli imputati, nell’ambito degli atti istruttori disposti dai Magistrati dottoressa Penna e dottoressa Pugliese, vi fu anche la riesumazione della salma di Walter Chiari e il professor Pierucci fu incaricato dalla Procura ad effettuare una perizia tossicologica per stabilire se le forti dosi di cortisone somministrate all’attore potevano considerarsi come causa o concausa della sua morte.
Peccato che Walter Chiari non assumeva solo cortisone…
E così l’illustre perito, ed io stessa, grazie alla notorietà del “riesumato” rimanemmo per mesi sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, “accusati” di non lasciare riposare in pace l’amato comico.
A volte entrare nella mentalità della gente è davvero difficile, specie se da un lato ci si lamenta delle tante verità non recuperate, e quando poi si intravede un barlume di luce, ecco che i colpevoli diventano coloro che a vario titolo si adoperano per dare un contributo alla chiarezza.
Uno scambio di battute con il Professore: “Sembra un destino, per colpa mia, è già la seconda volta che facciamo prendere una boccata d’aria a chi sta sotto terra…”
“E già signora, è proprio così…”.
Arriva il bel Giudice, Paolo Micheli, e tutti ci avviamo a prendere posto nella grande Aula, la stessa dove si celebra il processo a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito accusati di avere ucciso Merdith Kercher.
Un’Aula ormai consueta al PM Giuliano Mignini, che sia nel caso Meredith che nel caso Narducci-Mostro di Firenze, rappresenta la Pubblica Accusa.
La ressa delle telecamere si vanifica e le porte si chiudono al pubblico, come è previsto dalla procedura per le Udienze di Rinvio a Giudizio.
Sicuramente i giornalisti cercheranno di carpire qualche parola, un piccolo commento di sfuggita da chi esce per andare al bagno o per fumarsi una sigaretta, e resteranno appostati pronti ad avere le prime notizie, e sarà così fino a pomeriggio inoltrato, quando l’udienza viene rinviata al 17 giugno 2009.
Motivo principale del rinvio è l’assenza del colonnello Luciano Garofalo dei Ris di Parma, che ha curato per conto della Pubblica Accusa, la perizia antropometrica , cioè la comparazione tra il corpo riesumato di Narducci e le fotografie del corpo ripescato nel Trasimeno il 13 ottobre del 1985, e riconosciuto all’epoca, come quello del medico perugino.
E già, anche agli occhi dei profani la differenza tra i due cadaveri è sempre apparsa più che evidente, ma trattandosi di un caso di “annegamento” e poi di una riesumazione dopo ben sedici anni, è bene che sia la scienza a stabilire quanti e quali cambiamenti madre natura possa aver determinato.
A confrontarsi con il colonnello Garofalo, per i periti degli imputati comparirà l’illustre professor Mallegni, noto per la ricostruzione di quei volti che dobbiamo accettare così come ci sono stati tramandati, come Giotto tanto per fare un esempio…
Narducci però se lo ricordano in tanti, e le cose non andranno così lisce come per il re del “tondo perfetto”, tanto più che ci sono anche testimoni che descrissero il medico, in sede di incidente probatorio, quando lo videro prima dei funerali, andando a presentare le condoglianze alla famiglia, e lui, il defunto appariva “bello come un angelo e sereno come se dormisse”…
Ma di questo si discuterà alla prossima udienza.
Il confronto dello scorso 3 giugno ha invece avuto come oggetto l’aspetto prettamente medico-legale, e a farla da protagonista è stato un ossicino cartilagineo come uno stuzzicadenti di lunghezza tra un centimetro e mezzo e due centimetri.
L’eccellente “testimone” si chiama “corno superiore sinistro dell’osso ioide”, e così piccolo e tenero, avrà il potere di stabilire se la causa della morte di Francesco Narducci fu omicidio, suicidio, o semplice disgrazia.
Il primo ad esporre le conclusioni della perizia svolta per conto della Procura, è stato il professor Giovanni Pierucci di Pavia.
Una deposizione durata diverse ore, anche perché lo scienziato ha dovuto rispondere alle tante domande postagli dal Giudice, poi dal Pubblico Ministero, dagli avvocato delle Parti Civili, e dai difensori degli imputati.
Il Gup, dottor Micheli, sembrava precedere con i suoi quesiti quello che presumibilmente avrebbero chiesto, sebbene con toni diversi, gli avvocati difensori.
Una mossa estremamente intelligente e tipica di un Giudice che non ama essere “perdente”, nel senso che nel disporre i rinvii a giudizio vorrebbe evitare di trovarsi poi di fronte ad una sentenza di assoluzione, sentenza che sarebbe considerata come la scontata conseguenza di un “processo inutile”, soldi buttati per lo Stato.
E molte domande erano un po’ “insidiose”, tanto da mettere il professor Pierucci nelle condizioni di dover dire più volte: “ Bè, tutto è possibile… nulla può essere escluso…”.
L’esperienza , la professionalità, la signorilità dello scienziato traspariva dalla pacatezza delle risposte, come se, messo di fronti alle ipotesi più “fantasiose” non gli restasse altro che rispondere:
“Se vogliamo dire che la terra è ferma e il sole si muove… tutto è possibile…”.
In realtà quell’ossicino non è facile da fratturarsi, e tanto meno accidentalmente, in quanto dovremmo immaginare che la vittima, nel cadere magari per un malore, sia andato a sbattere contro un corpo contundente che avesse raggiunto il frammento procurando una lesione.
Una mira precisa e casuale.
Ma perchè possa essersi verificata una situazione del genere, l’ipotetico corpo contundente, avrebbe dovuto procurare almeno una lesione esterna, cosa che non è risultata all’esame autoptico.
E dunque , è verosimile pensare che quel “corno” sia stato invece raggiunto mediante una manovra digitale esterna, ripetitiva, proprio come avviene similmente nei casi di strozzamento e di strangolamento.
In verità personalmente avanzerei anche una differente ipotesi alternativa.
Infatti , è assodato che Francesco Narducci si fosse trovato suo malgrado all’interno di un gruppo di esoteristi ai quali forse si era rivolto su consiglio di un noto medico e mago perugino, il professor Francesco B. , al fine di trovare una soluzione che lo rendesse capace di dare un figlio alla povera moglie.
Ed è probabile che il giorno della sua scomparsa, gli fu tirata una trappola di questo genere, e magari con la scusa di un rituale, sia stato sottoposto a manovre particolari, con ripetute percussioni dall’interno del cavo orale. (Il disegno di Pacciani publicato in queso articolo, diviene inquietante, leggendovi proprio un "Ti strozzo"... E si intuisce nella donna nuda una "Sacerdotessa" (la somiglianza è grande) con un giovane che Pacciani rappresenta nel ceto sociale, ben vestito, ma stando attento a che non somigli ad alcuno dei "sospettati" dell'epoca).
E dovendogli in tal caso, tenere la bocca bene aperta agganciandolo con la mano sotto la mascella, si sia fratturata la cartilagine del corno superiore sinistro dell’osso ioide.
L’ipotesi accidentale fa sorridere, anche perché vi è un’ampia casistica che dimostra che in caso di incidente insieme a quell’ossicino si fratturano tutte le cartilagini circostanti lasciando segni anche organici evidenti.
Al contrario la lesione procurata da percussione ripetuta, non necessariamente provoca un versamento ematico , che peraltro essendo il soggetto ancora in vita, si perderebbe.
Una esposizione senza se e senza ma, è stata quella della dottoressa Carlesi, la quale fu incaricata dal professor Pierucci a collaborare e ad integrare i lavori peritali, data la complessità del caso.
E’ stata più volte sottolineata l’ottima conservazione del cadavere a distanza di ben sedici anni, un cadavere che conservava ancora i capelli a meno delle zone di stempiamento, le stesse che il Narducci aveva evidenti già in vita come risulta dalle fotografie.
E soprattutto lo stato integro degli organi vitali, a cominciare dal cuore.
Questi dati, da un punto di vista scientifico, non sono minimamente compatibili con un cadavere che stando alla versione dei familiari e degli altri imputati, sarebbe annegato e rimasto ben cinque giorni in acqua, peraltro a temperatura elevata come si verificò nel Trasimeno in quell’autunno del 1985, fenomeno che sembra compaia una volta ogni dieci o quindici anni.
La scienza non pone dubbi e stabilisce con certezza che il corpo di un annegato, ha tempi di putrefazione rapidissimi, che si evolvono nel giro di poche ore.
E poi, l’acqua nei polmoni, dove sta?
E dunque su questo punto, poche sono le possibilità che il Giudice avalli la tesi della morte per annegamento.
Basti leggere al tempo della riesumazione quanto riportò tutta la stampa, tanto fu lo stupore, un coro generale, nel vedere il giovane medico integro, addirittura conservava il pigmento nei capelli, uno dei primi elementi che scompare dopo la morte.
E non mancarono coloro che si chiesero: “Ma veramente morì nel 1985? Siamo sicuri?”
Unica cosa che la dottoressa Carlesi ha dimenticato di riferire al Giudice è un particolare che nulla c’entra con il cadavere ma è talmente significativo che vale bene la pena di ricordarlo.
Infatti la dottoressa Carlesi nella sua esposizione ha affermato di aver partecipato a tutti i momenti della riesumazione, fin dalla estrazione della bara dalla tomba di famiglia.
Il particolare di non poco conto è che nella targhetta che le pompe funebri appongono all’esterno delle bare onde indicare la data del decesso, in questo caso c’era scritto “9 ottobre 1985”!
E se Narducci scomparve l’8 ottobre, e il nove morì, allora il cadavere ripescato nel Trasimeno il 13 ottobre, era certamente di un’altra persona….
O dobbiamo pensare che subito dopo essere stato ucciso, morto accidentalmente, o suicida, fu buttato in acqua per simulare un annegamento e poi fu fatto riemergere dopo cinque giorni?
Bè, diciamo che almeno ai pesci, il dottore avrebbe fatto gola… e gli illustri scienziati avrebbero evidenziato ben altri elementi.
E a confermare senza ombra di dubbio i risultati peritali del professor Pierucci e della dottoressa Carlesi anche i periti della parte civile, Francesca Spagnoli, vedova del gastroenterologo.
E veniamo invece alle opposte tesi avanzate dai periti nominati dagli imputati, in primis i familiari di Francesco Narducci.
A scendere in campo, un altro nome noto, il professor Carlo Torre, anche se la sconfitta subita nel caso di Cogne, per la morte del piccolo Samuele , sarà forse stato un duro colpo alla sua scienza.
Infatti Torre fu nominato dalla famiglia Franzoni che vedeva all’epoca come unica imputata la mamma della vittima, Anna Maria Franzoni, ora condannata in via definitiva e reclusa in carcere.
In verità il professor Torre si dimise dall’incarico non condividendo il modus operandi del professor Taormina, difensore dell’imputata.
Tuttavia , nell’ambito del mandato conferitogli come perito, sostenne, a partire dalla disposizione delle macchie di sangue sul pigiama della Franzoni, ciò che in sede di verdetto finale, risultò completamente errato.
E data la risonanza di questo caso giudiziario che ancor oggi, va detto, vede spaccata in due la pubblica opinione, quel risultato scientifico cui approdò il professor Torre è stato messo in seria discussione data la discordanza con la sentenza.
A differenza di quando il perdente è un avvocato difensore, il quale per mestiere deve sostenere il contrario della pubblica accusa.
Il Perito, al di là se nominato da una parte o dall’altra, dovrebbe porsi al di sopra degli interessi, nel senso che lo strumento di un perito è la scienza, e che come tale non si presta a manipolazioni o interpretazioni distorte che ne minano alle basi la credibilità, il concetto di ricerca stessa.
Accanto al professor Torre, si sono espressi sulla sua stessa linea altri e in particolare il professor Giuseppe Fortuni.
E qui, non posso esimermi da una serie di osservazioni che debbono far riflettere chi di dovere.
Questo gruppo di scienziati ha “giocato” direi anche in modo pesante sulla psicologia sia del professor Pierucci, e a mio parere dello stesso Giudice, aggiungendoci quella tipica furbizia studiata a tavolino…. E’ il “gioco delle parti”… previsto dai codici…
Tuttavia la sensazione era quella di rivedere le mosse di taluni periti comparsi nei processi sul Mostro di Firenze tutti con un bel curriculum firmato “Sisde”…
Il fine da raggiungere anche per il convincimento del Giudice era quello per il quale, nel caso la tesi della lesione del corno superiore sinistro dell’osso ioide per cause accidentali non avesse retto, in alternativa un bel messaggio in codice per Pierucci: “Bada caro collega, che noi possiamo sempre sostenere che la frattura l’hai procurata tu, per pura imperizia, per grave incuria…”
E certo che se il professor Pierucci avesse messo da parte la sua grande signorilità e superiorità, si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato sbattendo la porta.
In fondo di fronte a mosse di questo genere, è difficile mantenere i nervi saldi.
E su questa ipotesi, a loro dire, la più verosimile, hanno sciorinato una serie di osservazioni e di reminiscenze, che quasi quasi ci credevano loro stessi, che ben dovrebbero sapere come i svolsero i fatti.
E rivolti al Giudice:” D’altra parte prima che il professor Pierucci incidesse, alla tac e alle radiografie della lesione non vi era traccia… solo dopo l’incisione è comparsa..”
Come se non sapessero che le fratture di tipo cartilagineo difficilmente compaiono nella diagnostica per immagini, e necessitano di una esplorazione chirurgica.
E ancora: “ E’ evidente che dobbiamo parlare in ogni caso di una lesione post mortem, in quanto non sono state reperite tracce ematiche, di emoglobina, e nemmeno di una componente immortale della emoglobina, signor Giudice, il ferro, lei capisce, il ferro resta in eterno…”
Peccato, che nelle lesioni di tipo cartilagineo, a meno di una grossa lesione, è assai difficile che si accompagni un versamento, e nel caso in questione ipotizzando la vittima ancora in vita, sarebbe stato comunque dissolto!
E la vittima doveva essere viva, poiché questo tipo di lesione non provoca la morte, ma se la lesione viene procurata durante uno strozzamento con volontà omicidiaria, la causa del decesso è l’asfissia.
Ma gli scienziati non si sono limitati a “stravolgere” la scienza con interpretazioni che apparivano pesanti forzature, bensì sono ricorsi ad una strategia tipica dell’intelligence…
Esordivano così: “ Signor Giudice come giustamente ha confermato ed esposto in modo ineccepibile l’illustre professor Pierucci, anche noi sosteniamo che…..”
E continuavano affermando esattamente il contrario di quanto descritto da Pierucci, confondendo i presenti, e speriamo che non abbiano confuso chi poi dovrà decidere, il perito dei periti, il Giudice…
Ed ecco un’altra mossa assai abile…
Onde avvalorare la tesi della frattura accidentale, citano e mostrano, un libro di pubblicazioni scientifiche, in cui è il potente professor Giancarlo Umani Ronchi, secondo una generalizzata casistica, a sostenere la possibilità che la frattura del corno superiore dell’osso ioide in molte circostanze la si possa procurare per un trauma accidentale.
Ma guardate caso, parlano della frattura, ma non scendono in alcun particolare, quello fondamentale ad esempio, che in caso di trauma, devono necessariamente comparire evidenti segni lesioni o contusioni esterne.
Ma perché hanno pensato di citare Umani Ronchi?
Forse il particolare sfugge alla opinione pubblica, ma non a Gabriella Carlizzi, che oltre ad aver conosciuto personalmente il professore, sa bene che come perito è stato nominato proprio nell'ambito dell'incidente probatorio nel noto processo per la morte di Meredith Kercher.
Sembra di vederli riuniti nella stanza dello “scienziato”: “ Sai che facciamo, portiamo un qualche studio di Umani Ronchi, qui è un perito di fiducia... e quindi abbiamo più possibilità di affermare la nostra tesi…. Eh, eh,…” e giù pacche sulle spalle…
Peccato, che la sottoscritta, si è ricordata di un caso simile alla lesione del Narducci, un delitto recente, e di cui fu proprio Umani Ronchi ad occuparsi come perito.
Evito di dare riferimenti precisi in questo articolo, onde non dare spunti di ulteriori manovre all’avversario, ma mi limito a riportare tra virgolette una piccola parte della perizia di Umani Ronchi in quel delitto, utile , lo spero, per chi ha orecchie per intendere:
“…mobilità preternaturale del corno sinistro dell’osso ioide e del corno superiore sinistro dello scudo tiroideo sinistro, fratture comuni nelle asfissie meccaniche e particolarmente nello strozzamento e nello strangolamento…” (Giancarlo Umani Ronchi)…
Ho definito Umani Ronchi come un uomo molto potente, perché pochi sanno che è anche il direttore dell’Obitorio di Roma, e quando a capo della Criminalpol c’era il dottor Nicola Cavaliere, si sono occupati insieme di casi che benché rimasti insoluti, fanno ancor oggi parlare le cronache nazionali, nonostante siano trascorsi decenni.
E dirigere l’Obitorio di Roma, non è da tutti…
I giornali sull’udienza del 3 giugno hanno titolato: “Narducci strangolato” , “No, suicida”, ponendo sullo stesso piano le parti che si sono confrontate…
Questa parità non è nemmeno ipotizzabile, e nemmeno nel merito di pareri che dovrebbero esprimersi limitandosi alle risultanze scientifiche, perché così non è nelle procedure processuali.
Infatti ai periti viene dato accesso agli atti, e non ci si può dimenticare, in ben otto anni di indagini, quelle che sono state le prove testimoniali, i risultati investigativi della polizia giudiziaria, il materiale sequestrato nel corso di numerose perquisizioni… e dunque, penso che tentare di evitare il dibattimento ignorando i punti fermi ai quali sono approdati gli inquirenti, sia una mossa di pessimo gusto e che pone sospetti ancor più gravi….
Cos’altro dobbiamo scoprire?...
Ce lo dirà il verdetto a conclusione di un processo a porte aperte….
Scusate, dimenticavo…
La parte offesa Michele Giuttari e l’imputato Mario Spezi, continuano ad essere sulla scena del delitto…. “i grandi assenti”…!
1. Osso ioide;
2. Disegno di Pietro Pacciani;
5.Prof. Giancarlo Umani Ronchi;
6. Ritratto di Francesco Narducci;
7. Il Giudice Micheli;
8. Il PM Giuliano Mignini.
MOSTRO DI FIRENZE: “UN’INDAGINE ESTREMA DEL COMMISSARIO LUPO BELACQUA”, ULTIMO THRILLER DI MARIO SPEZI.
UN LIBRO CHE PARLA… MA A POCHI, AI SOLI CHE HANNO VISSUTO E CONTINUANO A VIVERE DALL’INTERNO L’INCHIESTA INFINITA SUI DUPLICI DELITTI DELLE “COPPIETTE”…
AI “PROFANI”, IL NARRATORE, OFFRE UN AFFASCINANTE ENIGMA, A VOLTE INQUIETANTE, A VOLTE DIVERTENTE, MA SICURAMENTE DALLO STILE BEN STUDIATO …. UN TEST UTILE PER GLI “STRIZZACERVELLI”…
In ogni caso, il narratore ha mostrato in questo giallo, l’abilità del “genio”, e per questo vale la pena di commentare l’opera, anche al fine di tracciare una “guida alla lettura” di “Un’indagine estrema del Commissario Lupo Belacqua.
In questo caso, prima di entrare nel merito della trama vera e propria, è necessario sottolineare alcune nostre osservazioni.
Infatti, l’autore, fa precedere il racconto da una citazione:
“CON TUTTO CHE QUESTO CHE IO TI FO NON SI POSSA
ASSAI PROPIAMENTE VENDETTA CHIAMARE, MA PIU’ TOSTO
GASTIGAMENTO”
(Boccaccio, Decamerone,
Ottava giornata novella settima)
In calce al testo leggiamo:
“Questo romanzo è liberamente ispirato a fatti di cronaca. L’ideazione e lo sviluppo della storia e dei personaggi sono frutto della fantasia dell’autore”
Dunque l’ignaro lettore dovrebbe dedurre che la trama si articola intorno a fatti realmente accaduti, mentre nomi, luoghi, e circostanze dovrebbero essere inventati, appunto come quando nella narrativa ci si tutela con la classica formula “ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistite o esistenti è puramente casuale”.
Dunque nomi frutto della fantasia dell’autore e non riconducibili a nessuno che esista nella realtà, se non per puro caso…
Tuttavia, Mario Spezi, nella presentazione del suo thriller, pubblicata sul suo sito web, dopo aver sintetizzato la trama conclude:
“Il doppio finale che attende il lettore è così spiazzante da lasciare interdetti. E forse farà infuriare qualcuno. Ma così è la vita. “
La domanda è d’obbligo. “Perché mai un romanzo dovrebbe fare infuriare qualcuno?”
E d’altra parte la citazione del Boccaccio, scelta non a caso dall’autore, appare abbastanza eloquente.
Dunque anche in questo “labirinto letterario” si rende necessario individuare il “messaggio” forse criptato in una storia apparentemente avvincente ma con precisi destinatari.
Ma chi è Lupo Belacqua?
Un Commissario e Capo della Squadra Mobile di Firenze.
In che anni è ambientato il romanzo?
Spezi ci dà una traccia.
Infatti parla di “euro”, parla di un mese di “agosto”, ma soprattutto parla della larva Calliphora… Dunque siamo nell’estate del 2002.
Infatti proprio in quell’estate Mario Spezi, approfittando della presentazione del libro di Cecioni e Monastra “Il Mostro di Firenze” , evento che si tenne alle Giubbe Rosse , noto circolo letterario della città dell’arte, il “mostrologo” annunciò di avere in mano uno scoop mondiale e tale da far saltare tutte le indagini sui duplici delitti del Mostro, e smascherare gli inquirenti che a suo dire, le avrebbero depistate negli anni.
Invitava pertanto i presenti a seguire per il lunedì successivo la trasmissione “Chi l’ha visto?” durante la quale avrebbe fatto il botto con il suo “scoop”.
Ma di che si trattava?
A sentire Spezi, la prova era inconfutabile e scientifica, aveva perfino un nome, era una testimone “eccellente”…
Ma chi?
Come, non conoscete la larva Calliphora?....
Ora, è opportuno ricordare il motivo per cui Spezi insieme al regista di “Chi l’ha visto?” , Pino Rinaldi, organizzarono quello che non riuscì, né come scoop, né tanto meno servì a distruggere decenni di indagini, e men che se ne dica a convincere il competente Tribunale di Genova ad accogliere le ripetute istanze presentate dal difensore di Vanni, ed ora anche difensore di Mario Spezi, per la revisione della sentenza definitiva che vide condannati i “compagni di merenda”.
Calliphora, mosca era, e mosca rimase… anzi la mosca dei morti.
Ma che doveva dimostrare questa larva?
In sintesi, Spezi e chi per lui, sostenevano che l’ultimo duplice delitto, quello della coppia dei francesi, il Mostro non lo commise l’8 settembre del 1985, bensì almeno ventiquattro ore prima.
E se così fosse stato, allora Pacciani avrebbe avuto un alibi di ferro, e di conseguenza la “confessione” del “pentito” Lotti sarebbe stata in qualche modo “estorta” dagli stessi inquirenti, in cambio di una “sistemazione” più decorosa del reo-confesso.
Ora ci si chiederà: dove sta il collegamento tra la “Calliphora” di cui parla Mario Spezi nel suo thriller, e la Calliphora che il “mostrologo” chiamò a testimone nel duplice delitto degli Scopeti?
Il collegamento è proprio in questa machiavellica opera letteraria, quando l’autore, dopo aver precisato che i riferimenti della narrazione sono frutto della sua fantasia, fa finta di dimenticarsene, e pubblica nomi e cognomi reali e ben collocabili in fatti e circostanze dettagliate.
Ed ecco che a pagina 50 e seguenti dell’intrigante thriller leggiamo due nomi che ci sembra di aver già sentito: gli illustri professori anatomo-patologi ed etmologi, Introna ed Altamura.
Ma come non doveva essere un romanzo?
Introna ed Altamura, non furono gli scienziati che espletarono per Spezi&Company la perizia sulla Calliphora ritrovata sui cadaveri dei due poveri francesi uccisi dal Mostro?
Certo che si, furono proprio loro, ed ecco che senza nemmeno ricorrere a nomi di fantasia, Spezi ce li vuole ricordare nel “romanzo” con le loro vere identità.
A questo punto la lettura si fa sempre più interessante: e come non cedere alla curiosità di andare a verificare anche la reale esistenza di altri illustri nomi citati nel libro?
Impossibile non rimanere sconcertati, impossibile non chiedersi il movente che abbia spinto l’autore a rischiare tanto, ad esporsi in prima persona a querele da parte di chi può ben pagarsi parcelle astronomiche di avvocati, quei “Principi del Foro” che sono capaci di ottenere risarcimenti per decine e decine di migliaia di euro.
A meno che, tra l’autore del thriller e i personaggi illustri, realmente esistenti, cui Spezi attribuisce ruoli anche criminali, oltre che di gay e lesbiche, non ci sia stato preventivamente e chissà per quali oscure vicende, un tacito “accordo”.
Ricatti? …..
Chiamate in correo?.....
Difficile immaginarlo, fatto sta che più lo si legge e più il “romanzo” appare realtà.
Una delle famiglie protagoniste della storia sono i gioiellieri Giannelli, tra le più prestigiose e antiche gioiellerie fiorentine.
E come tali sono presentati nel thriller, con l’aggiunta che la figlia Lorenza, amante della bella Leah Ross, organizza con quest’ultima l’omicidio del proprio marito, al quale le due lesbiche intendono scippare l’esigua somma di un milione di euro, frutto di una mercanzia di diamanti.
A sua volta, il genero del vecchio Giannelli, ucciderà invece con un colpo di scena la moglie Lorenza, figlia appunto del Giannelli.
Dunque una famiglia di assassini, depravati dediti ad affari sporchi nel mercato dei diamanti.
E così il lettore che credeva di leggere una storia ispirata a fatti reali con nomi di fantasia, si ritrova dinanzi a nomi veri e di chiara fama, protagonisti di fatti….
Qui, il rebus, perché a dar retta all’autore il racconto si ispira a fatti di cronaca….
Vedremo come reagiranno i signori Giannelli dopo la lettura di questo articolo, semmai dimenticassero di leggere il libro ignorando di essere stati “prescelti”, come obiettivo di ciò che non saremo noi a stabilire…
E che dire di quel povero Cecchini, il macellaio dei Vip, ove fanno salotto i turisti ma anche tutta la nobiltà delle colline fiorentine, nella frequentatissima Macelleria di Panzano nel Chianti?
Costui ha anche un sito web, e ci si accorgerà che oltre al nome, la descrizione del personaggio è perfetta e riconoscibile nella fotografia che compare nella “rete”.
Si potrebbe pensare ad una pubblicità concordata, ma considerando il ruolo che Spezi attribuisce al macellaio nel suo “romanzo”, appare più facile ipotizzare un qualche “messaggio in codice”, senza dimenticare la descrizione del coltello.
Il Cecchini dunque adescherebbe le giovanissime e nobili fanciulle, conosciute in occasione di qualche festa per cui prepara i piatti tipici del luogo, e poi tirate in trappola con misteriose email, dal mittente suggestivo e categoricamente “magico”, misterioro…
Pan666…
E bravo il Cecchini, chissà se si è letto in questa veste e chissà magari quanta gente che conosce bene l’uso del “romanzo” da parte di certi narratori, se ne guarderà bene da oggi in poi a farsi vedere in quella macelleria…
Ancora una volta nomi reali… e i fatti?
Stando all’autore dovrebbero essere fatti di cronaca…
E così di seguito per tutte le 215 pagine, un nome dopo l’altro, un delitto dopo l’altro, il tutto annodato intorno al principale protagonista della storia: Lupo Belacqua.
E qui viene il bello… anzi è il caso di dire che l’autore nel coniare il nome del Commissario, Capo della Squadra Mobile di Firenze nel 2002 (ricostruendo gli eventi citati nel thriller), ha toccato il livello della genialità.
Un vero rompicapo, anche se un indizio Mario Spezi, da generoso qual è lo ha lasciato per i lettori “di buona volontà”.
E vediamo di sviluppare un ragionamento e seguire il nostro filo d’Arianna.
Intanto, come abbiamo evidenziato, l’autore cita Boccacccio, e manda a dire a qualcuno che questo “romanzo” è da considerarsi un “gastigamento”.
Andando poi alla pagina 163, leggiamo:
“C’è un libro….che contiene tutti gli altri libri, tutti. E’ l’unico che valeva la pena di essere scritto. Se hai letto quello, hai letto tutti i libri del mondo. Gli altri, compresa la “Divina Commedia” e “Topolino”, sono solo divagazioni in attesa della risposta, che non viene mai, alla domanda posta dal primo…”
E’ Lupo Belacqua che parla, e il libro che secondo lui conterrebbe tutti i libri del mondo è il Libro di Giobbe, nella Bibbia.
Attenti però…
L’autore mette in evidenza con tanto di virgolette, la “Divina Commedia” e “Topolino”, dunque un richiamo per il lettore, almeno così lo abbiamo interpretato.
Pertanto pensiamo che in questi due “elementi” potrebbe essere criptato il nome di Lupo Belacqua, e di conseguenza il perché lo si sia attribuito al Commissario…
Sarà pure una casualità, ma “Belacqua” lo troviamo realmente nel IV° Canto del Purgatorio della Divina Commedia con i seguenti versi:
“Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l'ombra dietro al sasso
come l'uom per negghienza a star si pone.
E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo 'l viso giù tra esse basso.
«O dolce segnor mio», diss'io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia».
Allor si volse a noi e puose mente,
movendo 'l viso pur su per la coscia,
e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m'avacciava un poco ancor la lena,
non m'impedì l'andare a lui; e poscia
ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
da l'omero sinistro il carro mena?».
Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
di te omai; ma dimmi: perché assiso
quiritto se'? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».
Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a' martìri
l'angel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
perch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
se orazione in prima non m'aita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».“
I versi di Dante dipingono con straordinaria esattezza la descrizione che Spezi fa del Commissario Belacqua, o meglio di una parte della sua doppia personalità, poiché vi è nel personaggio un volto nascosto, quello stesso volto che alla fine del “romanzo” indurrà il Capo della Mobile di Firenze a propendere per una scelta “estrema”… la corruzione, in mancanza delle prove capaci di dimostrare la verità cui pure era giunto, aiutato dall’ispiratore Klemm e dal suo pur capace intuito investigativo.
L’altra faccia del Commissario sarà forse criptata nel nome, Lupo ?
In effetti l’autore del “romanzo” cita tra virgolette “Topolino”: e chi non ricorda a questo punto lo storico “Pluto”?
E ancora una volta ci ritroviamo sulle tracce di Dante, non più in Purgatorio, ma nel VII° Canto dell’Inferno, quando Pluto cerca di sbarrare la strada al “visitatore” e questi gli risponde:
“Taci, maledetto Lupo!
Consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è senza cagion l’andare al cupo:
vuolsi ne l’alto là dove Michele
fè la vendetta del superbo strupo”
Che dire, se non applaudire alla genialità del narratore Mario Spezi?
Qualcuno si chiederà il perché nel “romanzo” l’autore appiccica addosso al Commissario Lupo Belacqua un dialetto da romanaccio….
Sorridiamo, mentre la risposta ci viene spontanea:
“Almeno in questo, Mario Spezi, ha usato la fantasia… purchè dialetto sia!”
1. Copertina del libro di Mario Spezi "Un'indagine estrema del commissario Lupo Belacqua";
2. La casina delle fate;
3. La ex fabbrica di palottole e dinamite Nobel;
4. La facciata della gioielleria Gianelli;
5. L'insegna dell'Antica Macelleria Cecchini.
COME DIRE: “GUAI A CHI PARLA DEL MOSTRO…”
MA POICHE’ SIAMO IN UN PAESE DEMOCRATICO, CI RITENIAMO LIBERI DI ESPRIMERE UN’OPINIONE, O ANCHE DI IMMAGINARCI COME SE ANCHE NOI FOSSIMO INVESTIGATORI… O ATTENTI OSSERVATORI…. O PER QUALCUNO, AMANTI DI DIETROLOGIA… CHISSA’…?
Un fatto è certo: nel tardo pomeriggio di sabato 9 maggio 2009, le agenzie di stampa lanciavano la notizia: “ I corpi di due giovani, trovati sgozzati nel bosco in prossimità di Bagno a Ripoli..”, e di seguito altre informazioni.
Si trattava di una coppia di ex fidanzati, Giulia Giusti di 22 anni e Lapo Santiccioli di 27, ambedue abitanti a Bagno a Ripoli.
E già nella stessa serata, i Carabinieri accorsi sul posto, essendo stati chiamati da un giovane motocrossista che se li era trovati davanti, rasserenavano la popolazione, affermando con certezza che si era trattato di un omicidio-suicidio.
E gli elementi per una conclusione del genere c’erano tutti.
Infatti la coppia da tempo viveva una notevole tensione, lei non voleva più saperne, lui non si rassegnava, al punto da minacciare il suicidio e da scrivere un biglietto trovato nell’auto e indirizzato ai genitori chiedendo perdono per il suo gesto.
Poi, l’ultimo tentativo di riconciliazione, finito però in tragedia.
Già, ma perché si è reso necessario tranquillizzare la comunità di Bagno a Ripoli?
E’ stata la reazione di tutti, quella di pensare immediatamente al Mostro di Firenze, tornato a colpire proprio lì , in quelle colline “addolcite” dal sangue di tante vittime…
Chissà se qualcuno si è chiesto come mai, a tanti anni di distanza, e con sentenze ormai definitive, la gente reagisce in questo modo?
Non se ne deduce forse che la convinzione collettiva è quella che il Mostro è ancora vivo e a piede libero?
E se fosse qualcosa di più di una semplice convinzione, se le persone di Bagno a Ripoli, avessero invece fondati motivi per spaventarsi?
Proviamo a riflettere su alcuni elementi apparentemente scollegati tra di loro, ma che se osservati sotto una diversa luce, potrebbero evidenziare un ipotetico quadro non poco inquietante.
Intanto per coloro che seguono da sempre questa terrificante pagina della nostra cronaca nera, Bagno a Ripoli non è un luogo per così’ dire al di sopra di ogni sospetto.
Infatti, in circa quarant’anni di indagini, molti illustri esperti impegnai in questo caso giudiziario, hanno ipotizzato che il Mostro vivesse o comunque disponesse di una casa situata in questo paese.
In particolare il noto criminologo Francesco Bruno, nel suo trattato “Analisi di un Mostro”, ha tracciato le coordinate precise che gli hanno consentito, non di ipotizzare, ma di affermare con certezza, che il Mostro lo si doveva cercare a Bagno a Ripoli.
Casualità?.... Forse…ma non è la sola.
Tra i tanti sospettati, ce ne è uno ancora in vita, il quale quando si cominciò a parlare di Pacciani, come possibile “Mostro”, aveva una società di pellami e accessori, la cui sede legale era proprio a Bagno a Ripoli, dove appunto il sospettato ha effettivamente un punto d’appoggio.
E proprio a Bagno a Ripoli, nel 2006 il sospettato fu “attenzionato” su delega della Magistratura, e un pomeriggio fu visto addirittura con dei “feticci” allestire il necessario per la celebrazione di un non meglio precisato rito, cui avrebbero dovuto partecipare tre illustri personaggi provenienti da Roma…
Già, avrebbero, in quanto qualcuno li avvertì e fu avvertito anche il sospettato e la “serata” andò per così dire a monte…
Ora, se analizziamo queste coincidenze, benché strane come tali, possiamo anche immaginare che la gente del posto abbia avuto una reazione di panico, non solo per lontani ricordi di coppie ammazzate, ma forse in quel paese si sa quello che ancora nessuno ha avuto il coraggio di denunciare.
E’ noto che nelle vicende del Mostro di Firenze e del caso Narducci, si dia per scontata una componente esoterica, come anche nella sentenza definitiva a carico dei cosiddetti “compagni di merenda” fu accertato che le parti anatomiche asportate venivano vendute a qualcuno interessato per un utilizzo rituale.
E va anche detto che questi “cimeli” non si distruggono, non è facile disfarsene e restano eterni, passando in “eredità” di mano in mano, di custode in custode.
Ora, il giorno precedente a questo duplice delitto, si è appreso di una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, una sentenza che potrebbe avere scatenato l’ira e la vendetta di qualcuno, magari proprio di colui che fu visto nel 2006 a Bagno a Ripoli in possesso dei feticci…
A questo punto, potrebbe essersi reso urgente e necessario un” rito” che in qualche modo, direttamente o per induzione provocasse un delitto riconducibile, sia pure apparentemente, ai delitti del Mostro, ma con qualche caratteristica capace di farci ricordare anche il medico di Perugia, Francesco Narducci.
Certo la paura di affrontare un processo fuori da Firenze, e dove non si può far valere alcun ricatto, induce a tentare il tutto per tutto, e dunque perché non procurarsi una qualche protezione di quella stessa “Divinità” cui tanti sacrifici furono offerti?
Nei Blog molti già parlano di “codici” presenti in questo delitto, e a dire il vero, già dai nomi delle povere vittime verrebbe da pensare al bisogno di qualcuno di difendersi dalla Giustizia.
Come anche analizzando la numerologia del delitto stesso, l’età delle vittime, il giorno del massacro, l’ora presunta e tanti altri elementi, volendo vi si riconoscono i parametri della schola esoterica più comunemente denominata “Rosa Rossa”.
Ed è strano anche il fatto che a trovare i due cadaveri sia stato un amante dl motocross a bordo della sua “belva”, proprio come lo era Narducci, quando negli anni del Mostro, in compagnia di un nobile amico scorrazzava con la sua moto su e giù per quelle colline…
E neanche a farlo apposta, i Carabinieri sembra abbiano rinvenuto nell’auto del ragazzo un biglietto, in cui il poveretto, disperato, chiedeva perdono ai genitori per quel gesto estremo …
Proprio come il biglietto che fu ritrovato nella casa di Francesco Narducci dopo la sua scomparsa e la sua morte…
E veniamo alla dinamica del delitto in sé.
A quanto se ne sa, i due ex fidanzati si incontrano, qualcuno dice per un tentativo di riconciliazione, ma è pur vero che si ritroveranno i regali, dunque vi era l’intenzione di restituirseli, come si usava un tempo quando ci si lasciava.
Ma c’è il coltello, fatto che indurrebbe a pensare che o l’omicidio o il suicidio, erano premeditati.
Perché lei, che già si sentiva perseguitata dalle insistenze del suo ex, pedinata, minacciata, accetta di salire in macchina con uno che poteva perdere la testa e quando ha visto che si dirigeva verso il bosco, non è scappata, prima che si consumasse la tragedia?
E lui, è plausibile che abbia avuto il sangue freddo al punto da infliggersi ben tre coltellate fino a morire sgozzato?
Badate che il coltello non è una pistola, darsi una coltellata è cosa ben diversa dallo spararsi un colpo alla tempia.
Senza contare che già dopo la prima coltellata, ammesso che si abbiano ancora le forze, scatta l’istinto di sopravvivenza, istinto che supera qualunque volontà di cinismo o masochismo…
A meno che, escludendo che non abbia partecipato al delitto una terza persona, quello che è stato considerato un “raptus di follia”, non sia stato invece un gesto “indotto” da un “controllo mentale” a distanza… poca distanza in questo caso se l’induzione partiva da Bagno a Ripoli.
Nella storia del Mostro siamo abituati ai “suicidi” più inverosimili, basti ricordare Elisabetta Ciabani, l’amica del cuore di Susanna Cambi, vittima del Mostro… Anche il delitto della Ciabani, trovata con un gran numero di coltellate sul ventre, fu archiviato come omicidio… e siccome nessuno l’aveva ammazzata, il colpevole non fu mai trovato…
Di certo possiamo affermare che già da un paio di settimane alla Magistratura competente risulta che qualcuno apprese da un “investigatore” che costui nel 2006 vide certe cose proprio in quel di Bagno a Ripoli…